Alba de Céspedes,
È una donna che vi parla, stasera
Serena Cerasa

Alba de Céspedes, È una donna che vi parla, stasera, a cura di Valeria Paola Babini, Milano, Mondadori, 2024.

Le veline dattiloscritte degli interventi radiofonici di Alba de Céspedes, conservate nel Fondo a lei dedicato presso la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, custodiscono una parte essenziale della sua memoria. Tuttavia, su di esse ha pesato un’ombra sottile – quella della rimozione storica e, di conseguenza, dell’oblio critico – che ha generato nel profilo della scrittrice un’asimmetria tra la sua attività letteraria e il pieno riconoscimento del suo contributo pubblico e che ha a che fare con il lavoro intellettuale e politico svolto dalle donne nella Liberazione. L’operazione di riscoperta e valorizzazione condotta da Valeria Paola Babini, a cui si deve la curatela dell’edizione, si inserisce in un necessario processo di restituzione e risarcimento volto a ricostruire più fedelmente il panorama del Novecento intellettuale. Nel saggio introduttivo La Resistenza di Alba de Céspedes, la curatrice problematizza la cancellazione dalla memoria storica della partecipazione sociale e politica di de Céspedes all’interno di un quadro d’insieme che tiene conto di altre scrittrici vittime della stessa rimozione, una fra tutte Fausta Cialente, cui gli inglesi avevano affidato un programma radiofonico in lingua italiana su Radio Cairo e che aveva rappresentato un importante precedente per la vicenda di Radio Bari. Babini pensa l’esperienza di de Céspedes di concerto con quella di altre scrittrici intellettuali per evidenziare, pur nella specificità delle singole voci, un reciproco, sincronico e solidale rispecchiamento. Mettere a sistema queste esperienze tanto diverse quanto accumunate da una simile sorte non risponde semplicemente a un intento di giustizia sociale, piuttosto si propone di rivedere il contesto storico complessivo da una prospettiva che sia finalmente esatta e completa.

I testi che compongono È una donna che vi parla, stasera non raccolgono solo quelli scritti per essere letti ai microfoni ma, selezionando passi tratti dalle pagine di diario e dalle lettere, raccontano «l’esperienza – di vita e intellettuale – rappresentata dalla scrittrice dal periodo trascorso lavorando alle radio libere di Bari e di Napoli nella seconda metà del 1943 e nei primi mesi del 1944» (p. LXI). Viene così tracciato «un percorso esistenziale, morale e politico» da inserire dentro la più ampia produzione letteraria che lo illumina grazie a ciò che di questo l’opera restituisce, e viceversa. In modo particolare le pagine dei diari permettono di considerare l’esperienza della radio sia rispetto a una più generale e costante riflessione sulla scrittura letteraria sia rispetto alla storia personale che, attraverso i microfoni, si fa collettiva. Nella prima sezione «Alba segreta», grazie alla più intima scrittura diaristica, ci è permesso ricostruire i difficili mesi che hanno preceduto l’esperienza radiofonica: le drammatiche conseguenze dell’armistizio, la decisione di lasciare la confortevole abitazione romana di Via Duse, i mesi passati in Abruzzo in attesa di un momento favorevole per guadare il Sangro e superare così «le linee»; la mancanza della carta, la necessità di scrivere e difendere il quaderno dal fango nel bosco «serio e impenetrabile» chiamato La Defensa. Il diario si interrompe quando de Céspedes giunge nell’Italia liberata e assume l’incarico assegnatole dal maggiore scozzese Ian Greenlees di coordinare il programma radiofonico di Radio Bari L’Italia combatte!: qui la scrittura di sé deve lasciare spazio alla dimensione del «noi».

«È una donna che vi parla, stasera» esordisce Alba de Céspedes, sotto lo pseudonimo guerriero e letterario di Clorinda, il 10 dicembre del 1943 durante il suo primo intervento ai microfoni di Radio Bari per la rubrica La voce di Clorinda. «Ma stasera» continua, «io non vi parlo in veste di giornalista o di scrittrice. Stasera io voglio parlare da donna alle innumerevoli donne italiane che aspettano il ritorno dei loro uomini che sono quaggiù e che sono rimaste chiuse nel buio della separazione, senza notizie, senza promesse, senza date che pongano fine alla loro attesa. […] Questi che io vi racconto sono fatti veri visti con i miei occhi. Non è propaganda, capite? Forse a voi che siete dall’altra parte riuscirà difficile crederlo, ma qui la propaganda non esiste. Noi veniamo al microfono e diciamo quel che vogliamo» (pp. 31-33, corsivi miei). In queste prime battute è contenuto in forma embrionale un programma culturale e morale che La voce di Clorinda porterà avanti con impegno fino alla liberazione di Roma nel giugno del 1944, dalla radio libera di Bari prima e di Napoli poi. Una lontananza fisica, ma non emotiva, separa chi parla da chi ascolta: «quaggiù» e «dall’altra parte» sembrano evocare le coordinate di mondi lontani; in realtà descrivono le due metà che dall’8 settembre 1943 dividono l’Italia. Sulle rovine di questa separazione, La voce di Clorinda, si fa ponte, tentando di stabilire un sentire e un impegno condivisi ai fini di quell’impresa collettiva che Vittorio Spinazzola ha definito «palingenesi della vita pubblica». Così il programma radiofonico diretto da de Céspedes entra a far parte del «quarto fronte» della Resistenza conducendo una battaglia che fa delle parole le proprie armi e vede le donne in prima linea nella riedificazione della coscienza civile del Paese.

Ogni sera davanti al microfono, i tre metri quadrati della stanza ovattata diventano una
«piccola trincea», dove simbolicamente si ritrova «tutta l’Italia unita» (p. 51). Servendosi delle onde radio, Clorinda non si limita a informare: rassicura, mobilita, chiama a raccolta, trasforma l’ascolto in azione e il dissenso in impegno. Si tratta tuttavia di una partecipazione che acquisisce soprattutto una dimensione esistenziale e che prende avvio dalla coscienza di sé in mezzo alla collettività, per poi manifestarsi in piccole pratiche quotidiane di soccorso ed emancipazione dai modelli repressivi perpetuati dal fascismo. In questo modo ognuno, a modo suo, è chiamato a resistere e ogni cittadino, indipendentemente dalla propria condizione, può trovare il proprio senso di appartenenza a questa resistenza civile di cui Clorinda rivela scopi e strategie, esortando le italiane e gli italiani a considerarla alla pari di quella armata. De Céspedes, biasimando l’attendismo e il disimpegno dei cittadini, si rivolge alle telefoniste, alle dattilografe, alle stenografe, agli agenti di polizia, agli impiegati e a tutta la popolazione romana indirizzando le coscienze verso un «continuo sordo sabotaggio sotterraneo» (p. 94) che da privato poteva diventare politico.

Tuttavia, più che ai contenuti, la riuscita dell’impresa è affidata soprattutto alle forme, o meglio, alla capacità di filtrare i primi attraverso le seconde, facendo reagire continuamente i referenti con i codici, e rispondendo così al duplice desiderio di coinvolgere un pubblico diverso da quello specialistico e di costruire un rapporto di fiducia immediato con i lettori “di massa”. Scegliendo la forma del colloquio e dell’autobiografismo, con toni amichevoli e confidenziali, l’io narrante parte da sé e dalla propria vicenda personale, ma si fa portatore di una narrazione collettiva: «Ma adesso che mi ritrovo davanti al microfono m’avvedo che questi pochi minuti rubati per raccontarvi una cosa tutta mia, serviranno, in fondo, a raccontarvi una cosa di tutti noi» (p. 154). Clorinda mostra una profonda consapevolezza dei sentimenti che agitano coloro che si trovano dall’altra parte e con i reiterati «io so», conforta le ascoltatrici e gli ascoltatori: «Io voglio che il mio ricordo resti in voi come quello di una persona che vi ha detto, sempre, la verità» (p. 50). Entra, inoltre, nelle case degli italiani, li immagina mentre ascoltano la radio, li dipinge mentre siedono intorno a una tavola o mentre attendono notizie; frequenti sono le descrizioni di interni domestici e di quadri familiari che richiamano la comune condizione dei cittadini e che producono un immediato rispecchiamento tra la conduttrice e il suo pubblico.

L’antifascismo di de Céspedes si concretizza in una visione che pone la pluralità come strumento essenziale nella lotta contro ogni forma di totalitarismo, edificando così le basi di una vita futura libera e civile. In questo contesto, l’attenzione è rivolta principalmente ai soggetti, perlopiù donne, in carne e ossa: i loro volti, i loro nomi (per ricordarne alcuni: Olinto, Genoveffa, Mariuccia, Giovanna…) e le loro esperienze. I grandi eventi e la politica non prevalgono mai sulle storie dei singoli che restano al centro della narrazione. De Céspedes combatte le visioni universali e universalizzanti e a queste contrappone la convinzione che sia proprio la molteplicità delle storie individuali a offrire una visione completa, plurale e, quindi, intrinsecamente democratica sulla realtà. Filtrando la luce della propria esperienza, che si fonde con quella degli altri, si genera una prospettiva dal basso, e proprio per questo privilegiata, capace di rappresentare la storia nel modo più fedele possibile.

Per concludere, esprimendosi con la voce di Clorinda, de Céspedes intende promuovere una rinnovata concezione della vita democratica, basata su valori quali la partecipazione attiva e la responsabilità individuale di ciascuna cittadina e di ciascun cittadino. Come scrittrice, pensatrice e intellettuale si propone di guidare la collettività «per far rinascere dal nulla un Paese rispettato, libero e civile» (p. 167), con l’obiettivo di affacciarsi su un «mondo nuovo», in cui la libertà e la dignità possano finalmente prevalere.