Adriano Prosperi,
Cambiare la storia
Gabriele Talami

Adriano Prosperi, Cambiare la storia. Falsi, apocrifi, complotti, Torino, Einaudi, 2025.

Adriano Prosperi, storico italiano di formazione modernista, nel suo ultimo saggio Cambiare la storia, edito da Einaudi, affronta gli aspetti principali relativi all’arte di falsificare la storia. In questo viaggio attraverso varie epoche l’autore accompagna il lettore indagando gli aspetti, i contesti e le motivazioni che portano alla nascita di un falso storico. Nella breve premessa sono attenzionati alcuni aspetti della cancel culture, una tendenza sorta negli ultimi anni e approfondita in particolare dagli storici di World History. Secondo Prosperi questa visione, sulla carta tesa a migliorare la storia umana epurandola da violenze passate e personaggi sgraditi, oltre a semplificare la realtà ha di fatto trasformato il ruolo dello storico in quello di giudice. Se, come sosteneva già Aristotele, il passato non può essere modificato, è un’operazione mentale contorta e rischiosa giudicare il passato con gli occhi del presente.

Figure del calibro di Cristoforo Colombo e Winston Churchill hanno compiuto quelle che noi, in base alle nostre sensibilità odierne in materia di parità e diritti, senza alcun dubbio riteniamo essere atti razzisti e nefasti. Questa forma mentis conduce inevitabilmente alla cosiddetta “civiltà di vergogna” che, ignorando il dato storico, vuole colpevolizzare l’Occidente cercando di relegare all’oblio le tracce meno nobili del suo passato. Nel primo capitolo di Cambiare la storia Prosperi affronta quello che è ritenuto universalmente il falso di maggior successo e durata nella storia, ovvero la donazione di Costantino. Secondo quanto affermato dal documento, nel 315 d.C. l’Imperatore Romano Costantino, guarito dalla lebbra in seguito al battesimo cristiano elargito da parte di Papa Silvestro I, avrebbe in segno di riconoscenza donato al vescovo di Roma la parte occidentale dell’Impero.

Questo dono fece seguito alla conversione di Costantino nel 312 d.C., in un periodo in cui solo una parte minoritaria degli abitanti dell’impero era di fede cristiana. Se come affermava Paul Veyne l’audace conversione dell’imperatore fu un avvenimento decisivo in grado di spostare il baricentro della storia mondiale, la falsa donazione ebbe un peso considerevole nell’espansione territoriale e nel potere temporale della Chiesa. Il redattore del falso, con un ragionevole grado di certezza, è individuato tra i membri della curia in grado di accedere alla documentazione papale, all’incirca nell’anno 774. La donazione è citata per la prima volta da papa Adriano I in una lettera a Carlo Magno del 778, dove il pontefice chiede al sovrano franco di aiutarlo a riottenere la potestas sui territori italiani occupati dai Longobardi.

Per sottolineare il cambio di passo operato dalla Stato della Chiesa Prosperi segnala l’emissione di monete, simbolo di autonomia statale, che ora recano l’effigie ed il nome del Papa in luogo dell’imperatore bizantino. La controversia per il potere temporale tra papato ed impero era solo agli inizi ed avrebbe avuto il suo culmine nel Dictatus papae del 1075. In seguito, altri pontefici come Innocenzo III e Bonifacio VIII avrebbero sfruttato a loro favore la donazione di Costantino per accrescere il prestigio dello Stato della Chiesa. Dante Alighieri nel Monarchia criticò il documento senza metterne in dubbio l’autenticità ma sostenendo con forza come l’imperatore non avrebbe potuto «alienare la potestà dell’Impero, né la Chiesa poteva riceverla». L’autore sottolinea il fatto che, malgrado la donazione di Costantino, nel corso della storia medievale l’autorità temporale fu comunque esercitata da re e imperatori. Ciò nonostante, vi furono anche in seguito campagne militari realizzate per mezzo della spada da vari pontefici, uno su tutti il papa guerriero Giulio II, tra i protagonisti indiscussi delle Guerre d’Italia nel Cinquecento. Ecco allora che nel libro sono riportate le cronache dell’epoca che dipingono una Chiesa che si scontra con l’ideale di carità cristiana, di martiri e non violenza delle origini.

Riprendendo il tema della donazione, fu solo a partire dal Quattrocento, il secolo dell’Umanesimo, prima dal punto di vista teologico con Niccolò Cusano, poi con il concilio di Firenze ed infine con lo scritto di Lorenzo Valla, De falso credita ed ementita Constantini donatione, che il documento venne progressivamente smascherato. Analizzando brevemente il contesto storico Valla realizzò la sua opera nel 1440 mentre si trovava a Napoli presso la corte del re Alfonso d’Aragona, all’epoca in aperto contrasto con papa Eugenio IV. Tralasciando ogni freno nella scrittura, l’umanista e filologo italiano nel suo attacco frontale contro il falso diede sfoggio di grande maestria e immensa cultura, accompagnando l’insieme con un tono di provocazione e retorica: avendo studiato a lungo il grande giurista Quintiliano, Valla realizza un vero e proprio impianto accusatorio dimostrando con prove inconfutabili la falsità della donazione. Tra gli esempi più eclatanti cita l’uso nel testo della parola “satrapi”, un termine designante una carica istituzionale che all’epoca di Costantino non era ancora prevista, oppure l’indicare come già esistente la città di Costantinopoli non ancora fondata ed ulteriori anacronismi. Il lettore si trova di fronte all’incontrovertibile evidenza che l’autore del falso fosse vissuto in un periodo storico che non poteva corrispondere al IV secolo d.C.

Prosperi rimarca costantemente la frustrazione di un Valla che ama sinceramente la Chiesa di Cristo ed è determinato a fare luce una volta per tutte su una vicenda scabrosa per la dignità morale di ogni buon cristiano. Nonostante la donazione fosse stata smantellata nelle sue falsità, le conseguenze del De falso credita ed ementita si realizzarono dopo diversi anni. L’opera di Valla, messa all’indice da parte dello Stato della Chiesa, rischiò di cadere nell’oblio. Fino a quando, come ricorda lo storico, il testo non venne riscoperto grazie a fattori decisivi quali il rivoluzionario ruolo della stampa ed il diffondersi della riforma protestante di Lutero. Nonostante l’affermazione del testo di Valla diversi studiosi, come nel caso di Cesare Baronio nei suoi Annales, si ostinarono tenacemente a negare l’evidenza. Molti religiosi, superando a fatica la propria crisi di coscienza in merito all’inconfutabile falsità della donazione, preferirono sottacere la verità per non danneggiare il prestigio della chiesa. Parafrasando Hegel, lo Stato della Chiesa maturò una visione aprioristica del potere temporale cercando di alterare la realtà storica per rispondere ai paradigmi posti alla base dell’ideologia papale.

Nel secondo capitolo Prosperi presenta ai suoi lettori il curioso caso del frate domenicano Annio da Viterbo che, a fine Quattrocento, inventò di sana pianta un grande quantitativo di documenti e testi falsi testimonianti la presenza di un’antichissima e fiorente civiltà nella città dei Papi. Questa complessa operazione venne escogitata da Annio in chiave antiromana, in particolar modo dopo che la sua città natale era passata sotto lo Stato della Chiesa nel 1455. Annio, influenzato in particolare dalla lettura della Cronaca di Genova di Jacopo da Varazze e dalle scoperte archeologiche di Biondo Flavio, utilizzò il suo ingegno per riscrivere la storia di Viterbo. Tra le varie e fantasiose asserzioni finalizzate a nobilitare le origini della città, giunse addirittura a concepire la leggenda che Noè avesse reso Viterbo la capitale del mondo post diluvio universale. Annio si adoperò anche nel tentativo di sminuire il lascito storico e culturale di greci e romani per celebrare invece la civiltà etrusca, le cui tracce archeologiche abbondavano nel viterbese. Proprio gli etruschi, oltre a incarnare l’esempio di un popolo sconfitto, erano in quell’epoca ancora avvolti nel mistero e di conseguenza si creò un clima favorevole alla loro riscoperta. Se Annio ha avuto l’indubbio merito di riesumare questi antichi abitanti dell’Italia, furono in seguito i Medici del Granducato di Toscana ad elevarli al ruolo di gloriosi antenati. Prosperi evidenzia il ruolo pioneristico assunto da Annio nella falsificazione scientifica a livello sistemico in Europa, dato che il suo operato riscosse popolarità e successo e anche in Spagna e Francia.

Il terzo capitolo svolge il suo excursus in una Spagna fresca reduce di reconquista ed in cui ebrei e musulmani, pur avendo dato vita nei secoli ad una grande fioritura culturale e sociale, sono espulsi in gran numero. Non potendo accedere alle cariche più prestigiose della società, in quanto la Sentencia-estatuto de limpieza de sangre del 1449 li distingueva dagli spagnoli di sangue “pulito”, per evitare la deportazione molti si convertirono al cattolicesimo diventando conversos e abiurando il loro vecchio credo. In particolare, si inquadra il caso dei moriscos, musulmani convertiti spesso per convenienza sociale più che per sincero sentimento spirituale. Costoro nel corso del Cinquecento vennero percepiti con sospetto e timore da parte di istituzioni politiche e religiose ormai orientate verso un progressivo autoritarismo. Prosperi non evoca solamente lo spettro del Tribunale dell’Inquisizione, bensì anche l’azione di propaganda religiosa condotta dai gesuiti spagnoli in un’atmosfera di crescente intolleranza e fanatismo.

Nel tentativo di controbilanciare questa situazione, che portò alla rivolta dell’Alpujarra sedata con il sangue nel 1571, nacque un tentativo tardivo e disperato di cambiare la sorte dei mori di Spagna. Gli artefici furono alcuni notabili delle famiglie morische che, a partire dal 1588, realizzarono dei falsi per far credere che Granada fosse stata abitata da mori cristiani risalenti ai tempi della prima evangelizzazione. Nei pressi della collina, ribattezzata Sacromonte, si rinvennero apocrifi testimoni di una antichissima devozione moresca alla Madonna Immacolata risalente al I secolo d.C. La portata di questa scoperta poteva rivalutare completamente l’immagine dei mori spagnoli, coinvolgendoli a pieno titolo nell’identità religiosa collettiva e cattolica del paese. Tuttavia, ben presto iniziò una diatriba sull’autenticità di questi ritrovamenti tra la Spagna e la chiesa di Roma, molto perplessa e insistente nel far esaminare i libros plumbeos da lettori esperti di arabo del Sant’Uffizio.

Nel frattempo i gesuiti indottrinarono le masse con processioni dedicate al culto dell’Immacolata, entrando in aperto contrasto con il re Filippo III ed i domenicani. Da sempre grandi esperti in materia teologica, i domenicani cercarono di frenare gli entusiasmi generali ma non poterono impedire al sovrano spagnolo di assecondare il nuovo culto mariano. Questa strategia non venne adottata unicamente per evitare sollevamenti popolari dall’esito incerto, il re desiderava infatti investire la sua figura del ruolo di capo religioso in un momento storico delicato per la Spagna. In aggiunta al disastro della invincibile armada, le guerre nelle Fiandre e in America stavano drenando il paese di risorse materiali ed umane. Prosperi grazie ad alcuni passaggi chiave conduce il lettore a comprendere il cambio di paradigma in atto: da tentativo di riabilitazione dei moriscos si giunge ad una contesa per il primato religioso della Spagna ed infine ad un nuovo culto. L’uso politico della religione nel più grande impero cristiano dell’epoca portò alla definitiva espulsione di circa 350000 moriscos tra il 1609 ed il 1614, come ultimo atto di un esodo di massa iniziato ai tempi della reconquista.

Il quarto ed ultimo capitolo prende ad esame la vicenda riguardante i Protocolli dei Savi anziani di Sion, un documento presto identificato come falso ma che ebbe enorme fortuna e circolò in tutto il mondo ad inizio Novecento. Nel corso della storia europea gli ebrei erano stati etichettati in modo stereotipato come assassini di Cristo, usurai abili negli affari, finendo spesso confinati nei ghetti e venendo relegati a determinate attività. L’importanza di questo documento consiste nell’aver introdotto per la prima volta il concetto di cospirazione ebraica a livello globale. All’interno del testo, probabilmente opera della polizia segreta zarista, l’Ochrana, gli ebrei vengono dipinti alla stregua di una setta inaccessibile e detentrice del potere economico mondiale, coinvolta in ogni ambito sociale, politico e culturale.

I movimenti finanziari e gli avvenimenti di molte nazioni sarebbero stati in realtà pilotati dall’alto da parte di questo occulto ma influente potere ebraico. A supporto di queste tesi vengono elencate personalità di spicco con origini ebraiche attive in vari campi: Freud, Marx, Mahler, Tzara, Bergson e molti altri ancora. Le drammatiche conseguenze della circolazione di questo falso non tardarono ad arrivare, con un primo sanguinoso pogrom in Russia nel 1903. Nel corso degli anni, anche a causa della Rivoluzione russa, i Protocolli iniziarono a circolare in Germania, Inghilterra e nel resto del mondo. Il giornalista inglese del «Times» Philip Graves scoprì che in realtà il testo non era altro che la traduzione di un pamphlet del 1864 contro Napoleone III, intitolato Dialogo agli inferi tra Machiavelli e Montesquieu. Per dare una chiave di lettura al successo dei Protocolli Prosperi riprende la definizione di Henry Ford di “falsi veridici”, secondo cui il testo era sì un falso evidente ma il processo descritto era effettivamente in atto. A questo proposito, il pioniere dell’industria automobilistica americana pubblicò con successo il libro antisemita The International Jew nel 1920, in cui declamava l’indubbio controllo ebraico nei confronti del governo statunitense. Sia il libro di Ford che i Protocolli costituirono fonte d’ispirazione per il Mein Kampf di Adolf Hitler, nel quale il potere occulto degli ebrei era denunciato come il principale fattore che aveva portato al collasso sociale la Germania. Per Hitler gli ebrei non rappresentavano più unicamente il simbolo sovranazionale del potere economico e finanziario, ma uomini differenti per sangue e razza da fermare ad ogni costo.

Prosperi conclude il suo libro con un’amara riflessione sullo stato attuale dell’antisemitismo, chiamando in causa l’organizzazione palestinese Hamas per l’uso propagandistico dei Protocolli a fini terroristici ed invitando a non dimenticare la shoah. Il merito principale di Cambiare la storia consiste nel sottolineare come, nonostante i falsi vengano alla prova del tempo smascherati, l’emergere della verità non impedisca al corso degli eventi di esserne influenzato. Lo Stato della Chiesa, per aver perseguito una linea di condotta fedele alla Donazione di Costantino, continua ancora oggi ad esercitare un potere politico di primo piano sulla scena politica italiana e mondiale. Talvolta, come nel caso dei moriscos di Granada, gli esiti che derivano dalla produzione dei falsi sono diametralmente opposti a quelli ricercati dai loro autori. Se per Prosperi una certa storiografia di parte ha trascurato vicende lesive dell’immagine di un certo paese il bravo storico, oggi come in passato, deve cercare di avvicinarsi all’imparzialità attraverso l’uso di fonti selezionate ed affidabili. Il fine ultimo di questo saggio è dunque fungere da monito ai lettori che l’uso del falso per perseguire fini politici, economici e sociali non è soltanto un dato storico ma un tema quantomai attuale.