Questo libro è illegale
Felice Rappazzo

Questo libro è illegale. Contiene parole che insidiano la “sicurezza”, a cura di Osservatorio Repressione e Volere la Luna, Altraeconomia, Milano, 2025.

Parola-chiave: conflitto, è il titolo di un articolo di Franco Fortini apparso su «il manifesto» del 1° marzo 1991.1 «Il latore di consapevolezza è anche latore di conflitti», chiarisce a fine articolo Fortini. E proprio questa parola-chiave, «conflitto», è il centro ideale del libro di cui mi accingo a scrivere, una sorta di glossario della attuale repressione di ogni forma di conflittualità sociale, ossia, come meglio si vedrà, dell’anima stessa della nostra Costituzione. Posto, naturalmente, che “conflitto” è il contrario di guerra e di sopraffazione, ma la radice stessa della dinamica di ogni società che si voglia democratica.

Il titolo del volumetto, Questo libro è illegale (Altreconomia Edizioni, 2025) ha anche un significativo sottotitolo: Contiene parole che insidiano la “sicurezza”. Esso raccoglie interventi di studiosi e operatori del diritto, attivisti, sociologi, giornalisti, ciascuno dei quali interviene su una o più parole-chiave che riguardano la politica della cosiddetta “sicurezza”, costruendo così un piccolo ma essenziale «glossario per resistere alla repressione».; repressione che passa, nei fatti, ossia nelle leggi e nelle pratiche non solo poliziesche, ma anche nella costruzione di un immaginario securitario: oggi, ma anche prima, in Italia e in quasi tutta l’Europa (cosa che non ci conforta di certo).

La parola «conflitto» percorre la ricca e avvincente introduzione di Alessandra Algostino, costituzionalista all’Università di Torino, e di fatto attraversa coerentemente le voci dell’intero libro. Darò ampio spazio, perciò, a questa sintesi. «Il conflitto nella tormenta» ne è il titolo, e di questa parola si percorre in successione «l’esautoramento», «l’espulsione», «la repressione», ma si finisce col celebrarne «l’elogio». Esso è strumento indispensabile per ogni crescita democratica, ed è connaturato alla nostra Costituzione, che non è fondata solo su un versante formale e liberale, ma segue anche un indirizzo sociale: i diritti di questa natura ne costituiscono infatti un fondamento, a partire dall’art 1 e dall’art. 3. Il loro progressivo scomparire dalla legislazione e dalla cultura giuridica è di fatto il segno della involuzione autoritaria in atto. Qualche citazione: «Si scorge una costante: un potere senza remore, che anzi ostenta – nuda – la sua violenza. Non ha vergogna della sua protervia, ma la rivendica. Non finge di rispettare i limiti, ma li infrange con tracotanza. È oltre l’impunità, perché è la legge […] La fusione tra potere politico ed economico scioglie, nell’acido del mantra neoliberista, la democrazia sociale e, quindi, corrode la democrazia nella sua veste minima – e non sufficiente – come liberale: liquefa il costituzionalismo e il diritto internazionale; impone una visione proprietaria dello Stato e privatizza la politica; dilaga nella società e dà vita a un modello antropologico che la rispecchia, l’homo œconomicus o l’“homme compètitif” […] E si assiste, sul versante della democrazia istituzionale, alla concentrazione del potere, al rifiuto dello Stato di diritto; sul piano della democrazia sociale, allo smantellamento dello Stato sociale, alla ghettizzazione del disagio e alla colpevolizzazione della povertà; nello spazio della democrazia politica, all’atrofizzazione della rappresentanza, alla sterilizzazione del pluralismo, alla repressione del dissenso e alla criminalizzazione dell’alternativa. Il clima bellico, quindi, amplifica la cappa che si stende sulla democrazia» (pp. 8-11).

La sterilizzazione o demolizione della democrazia sociale si snoda, argomenta poi Algostino, lungo cinque tracciati: 1) liberalizzazioni e privatizzazioni: mercato onnipotente, libera concorrenza, «teologia della tecnica e del libero mercato»: l’autonomia differenziata ne è l’emblema e il contenitore più significativo, mettendo assieme alla disuguaglianza territoriale anche quella sociale; 2) sostituzione di politiche emancipatorie con misure una tantum, ossia bonus, sussidi ed elargizioni caritatevoli di tipo assistenziale, non diritti di cittadinanza; 3) misure di confinamento sociale, con la creazione di una “città capitalistica” e, per contro, delle periferie (non solo geografiche, ma anche sociali e razziali): il Daspo urbano ne è l’emblema (diverse voci del glossario riguardano proprio questo aspetto); all’insegna del “decoro” e di ordine pubblico si tracciano perimetri urbani di distanziamento e separazione. La tendenza crescente di tale processo è mondiale (ne ha scritto più volte Zygmunt Bauman), ma anche ciò non ci conforta: si delegittima così il legame sociale, si realizzano i non-luoghi, si alimentano l’isolamento e la disgregazione; 4) conseguentemente, si costruisce la stigmatizzazione e criminalizzazione della povertà, delle “vite di scarto” (ancora Bauman), delle “eccedenze” di ogni genere; il decreto Caivano, la legge 80/2025 ne sono i vessilli più visibili; 5) infine, la metamorfosi del lavoro da riconosciuto strumento di dignità sociale e civile – fondativo della Costituzione fin dal primo suo articolo – a merce, con riduzione del lavoratore a condizioni servili, mediante precariato, sottosalario, assenza di diritti.

La repressione antidemocratica del conflitto, cancellato dai diritti costituzionalmente garantiti, estesa addirittura a principi liberali come la repressione della libertà di parola, trasforma meccanicamente la sicurezza in mero “ordine pubblico”, definito secondo criteri molto labili e dunque arbitrari, la cui interpretazione spetta sempre di più alle autorità di polizia e insomma alla sfera amministrativa (l’attacco all’autonomia della magistratura ne è un capitolo del tutto conseguente): il conflitto sociale è ricondotto a questione di sicurezza e governato penalmente. La povertà diventa reato: come nelle legislazioni ottocentesche delle “democrazie liberali” (che per la verità non sono mai sparite: Margareth Thatcher subito dopo il suo insediamento lanciò una crociata contro i barboni che “infestavano” Londra), si punisce l’accattonaggio, la dissidenza, perfino la condotta di resistenza passiva. «È la protesta in sé che viene intesa come un crimine. […] Il campo dei nemici di dilata»: dal trittico costituito da dissenzienti, poveri, migranti, esso si estende alle università, ai giornalisti, ai giudici non asserviti. E, infine, la barbarie della guerra e la filosofia della violenza, il riarmo programmato e spudoratamente riproposto come strumento di civiltà e di difesa dell’Occidente libero, i processi di militarizzazione delle scuole, l’educazione all’obbedienza al capo e a chi detiene il comando, saldando la guerra propriamente detta con le guerre commerciali, con la finanza globale, con l’”estrattivismo” capitalistico (da cui vengono le ignorate guerre “civili” in Africa, i massacri sociali – oltre a quelli bellici – dei bambini nelle cave e nelle discariche del cosiddetto Terzo Mondo, l’indifferenza verso le morti in mare dei migranti, ecc.), deteriorano l’etica pubblica, cancellano l’idea di solidarietà mediante la costruzione di un “nemico” da combattere, legittimano la disumanizzazione dell’estraneo o del diverso, figure che vengono di volta in volta create e stigmatizzate: non è un fatto nuovo, basti scorrere le pagine di I dannati della terra, di Frantz Fanon, che risale al 1961!

Le pagine di Algostino si concludono con un’apertura, ossia con l’elogio del conflitto, una apertura alla speranza e alla rigenerazione sociale: perché è il conflitto che legittima oppressi subalterni, produce consapevolezza di sé e dei diritti, rilancia processi emancipativi e rivendicazione dei diritti.

La cornice politica giuridica e culturale della Introduzione racchiude in sé la logica e la sostanza dei molteplici interventi che costruiscono il glossario. Sarebbe forse giusto, ma risulterebbe anche prolisso, entrare nelle singole voci, ma credo che valga di più la lettura del libro. Qui ne segnalerò solo tre, scelte appositamente fra quelle che potrebbero risultare secondarie o periferiche rispetto ad altre, e dunque trascurabili, e invece molto insidiose soprattutto perché aperte a comportamenti e scelte discrezionali da parte di autorità amministrative civili e di polizia: così ad esempio nella voce Daspo (e lo stesso vale per le Zone Rosse). Dobbiamo infatti annotare che questo provvedimento, previsto in origine come una sorta di bando riservato alle frange violente e malavitose delle “curve” calcistiche degli Ultras (Divieto di Accesso alle manifestazioni Sportive, successivo alla cosiddetta strage di Heysel, lo stadio di Bruxelles), si è in realtà moltiplicato in una serie di ulteriori divieti di accedere a parti delle città, introdotti dal decreto legge Minniti-Orlando (14/2017; e si noti la data, per comprendere che la tendenza è di lungo periodo, e coinvolge coalizioni differenti), ulteriormente proliferato in altri cinque provvedimenti analoghi del 2018, 2019, 2020, 2023, 2025, che hanno sempre più irrigidito ed esteso la normativa, diventando così Daspo urbano. La discrezionalità che ne era alla base, e che seguiva di fatto la logica delle norme anti vagabondaggio, introdotti in Europa fin dal XIII e XIV secolo, a partire dal Paese della Magna Carta, prevede il dominio di concetti come decoro, pericolosità, inciviltà, immoralità, «pur non integrando – in molti casi – alcuna tipologia di reato» (p. 74). Leggi e norme contro i poveri e gli irregolari, insomma. Gli ordini di allontanamento sono comminati dalle forze dell’ordine a persone che, ad esempio, attentino al decoro (stabilito da chi? Con quali criteri?), esercitino attività commerciali abusive, compiano atti contrari alla pubblica decenza, siano colti in stato di ubriachezza; si realizza così una presunzione assoluta di pericolosità, una punizione preventiva più volte censurata (ma debolmente) dalla Consulta, sulla base della evidente violazione dell’art. 16 della Costituzione.

Questa logica presiede anche la Direttiva 17 dicembre 2024 del Ministero dell’Interno, rivolta ai Prefetti ed ai sindaci (sulle cosiddette Zone rosse, interdette alle persone non gradite). Si tratta dunque di un provvedimento di portata ancor minore di quella di un Decreto, ma non per questo meno arbitrario. Esso giunge, di fatto, a demolire il concetto di Spazio Pubblico, come tale fruibile liberamente dai cittadini e non vietabile su basi presuntive, e, in più, a criminalizzare il dissenso e perfino gli stili di vita e gli aspetti di persone “diverse”. La pericolosità sociale è definita perfino ricorrendo all’esistenza di precedenti denunzie, non ancora condanne, e dunque l’arbitrio si estende ancora, col pregiudizio e lo stigma culturale e sociale, oltre che, naturalmente, razziale.

Alla voce Multe e risarcimenti si potrebbe non prestare molta attenzione. Si tratta invece di una rilevante novità, introdotta piuttosto di recente con il decreto legislativo 150/2022, novità che comporta una consistente crescita dell’entità di molte pene pecuniarie, e soprattutto una straordinaria velocità di esazione. Quasi che il legislatore, ritenendo poco efficace la pena detentiva o quanto possa sostituirla, abbia deciso di colpire il portafoglio. Gli obbiettivi da colpire sono ormai noti: si tratta di colpevoli di reati di “piazza” (occupazioni di luoghi pubblici, ad esempio), o di manifestazioni di protesta che tocchino, anche in maniere del tutto reversibile, i monumenti o altri beni pubblici. Le pene possono arrivare, secondo la fattispecie, fino a 10.000 euro, e in altri casi fino a 20.000. Cifre ovviamente fuori della portata di molti soggetti, per lo più poco o per niente abbienti, come i giovani che manifestano per il clima e contro la deturpazione de paesaggio. Un’azione collettiva proposta da 104 cittadini e cittadine contrari alla costruzione del Ponte sullo Stretto al Tribunale delle imprese, è stata respinta: ma, oltre a questo, gli imprudenti ricorrenti sono stati condannati al pagamento di 340.000 euro di spese legali! E non è tutto: sono state riscoperte anche le “pene private”, con un ritorno al diritto romano: il perimetro di questa nuovissima (!) tendenza del diritto parte dagli USA, dove la compagnia petrolifera Energy Transfer ha chiesto un risarcimento di 660 milioni di dollari alle comunità di indigeni Dakota supportati da Greenpeace, per le proteste contro un mega oleodotto, e giunge anche al nostro paese: il Tribunale di Torino ha condannato in prima istanza a un risarcimento di 191.966 euro tre esponenti del movimento No-Tav (un sindaco, un vicesindaco e l’attivista Alberto Perino), per essersi opposti a certi sondaggi tecnici. La via, molto subdola, sembra segnata: colpire i semplici cittadini nelle loro risorse, metterne a repentaglio sicurezza ed affetti, con conseguenze anche familiari, significa avviare una repressione preventiva contro i movimenti di protesta e di resistenza.

Le Voci del glossario sono molte e riccamente trattate, pur nella sintesi che le caratterizza, e qui mi limito ad elencarle, accompagnandole – come mi sembra sacrosanto – col nome di donne e uomini che le hanno curate: Abitare (Paolo di Vetta), Blocco stradale (Livio Pepino), Boicottaggio (Angela Dogliotti), Carcere (Ludovico Basili), Daspo (Federica Borlizzi), Disobbedienza (Valentina Pazé), Fascismo (Davide Conti), Fogli di via e misure di prevenzione (Federica Borlizzi), Informazione (Duccio Facchini), Legalità (Livio Pepino), Militarizzazione (Giovanni Russo Spena), Migranti (Enrica Rigo e Tatiana Montella), Movimenti (Dana Lauriola), Multe e risarcimenti (Livio Pepino), Mutualismo (Italo Di Sabato), Nemico (Livio Pepino), Paura (Marco Revelli), Polizia (Lorenzo Guadagnucci), Resistenza (Livio Pepino), Sicurezza (Rossella Selmini), Zone rosse (Vincenzo Scalia).

Credo che bisognerebbe leggere, diffondere, pubblicizzare e discutere sistematicamente il libro fra gruppi sociali politici e di volontariato, collettivi giovanili e studenteschi: anche e soprattutto perché esso percorre e segnala i pericoli (anzi, le torsioni in atto, e da tempo) della svolta autoritaria e repressiva degli ultimi anni. Per concludere, una annotazione positiva e confortante: il libro è edito da Altreconomia Edizioni, ossia dalla società editoriale che pubblica mensilmente una vivace rivista d’inchiesta sociale, politica e ambientale: Altreconomia (altreconomia.it); ed è curata da Osservatorio Repressione (www.osservatoriorepressione.info) e dalla associazione Volere la luna (volerelaluna.it). Vediamo con piacere una proficua sinergia fra riviste e associazioni, una iniziativa da promuovere e diffondere; sarebbe utile, oggi più che mai, creare una rete fra riviste e iniziative consimili, seppur diverse nelle tendenze e temi che le caratterizzano. Un processo in controtendenza rispetto allo “spirito dei tempi” dominante.

Note

1 Ora in F. Fortini, Disobbedienze II. Gli anni della sconfitta. Scritti sul manifesto 1985-1994, Roma, Manifestolibri, 1996, pp. 167-169.