Leggere, scrivere, ripensare il presente
Due esperienze didattiche per resistere alla tempesta digitale
Sara Montagnani

Con l’esperienza ancora viva dei mesi trascorsi nella pur necessaria sospensione della didattica in presenza, una prima risposta potrebbe essere rendersi conto del segnale di pericolo, insidioso e rilevante, attivato dalla cosiddetta Didattica a Distanza. Tra marzo e aprile 2020 la sensazione di chi ha vissuto la scuola è stata quella di una grande e confusa frenesia sul ponte: chi cercava di calare in acqua mezzi di fortuna, dispiegando le vele senza valutare verso quale direzione spingesse il vento; chi, con l’animo sempre un po’ onnipotente, si dimenava replicando a chi poneva delle questioni vitali che non ci fosse tempo di farsi domande mentre l’equipaggio rischiava di affogare; oppure chi, similmente alla ormai celebre orchestrina del Titanic, pensava bene di continuare a suonare la stessa musica, malgrado il naufragio.
Chiunque abbia a cuore le sorti dei propri studenti è stato consapevole della necessità di agire, ma nondimeno del fatto che questa azione dovesse comunque essere sostenuta da una riflessione per far sì che la navigazione, già in acque tempestose, non seguisse qualche malefico canto delle sirene. Le sirene in questo caso sono state le molte soluzioni offerte della DaD, diverse delle quali addirittura – secondo il verbo di chi le praticava – così salvifiche da meritare di essere riportate nei prossimi codici di navigazione. Software, device, piattaforme online, app, videoconference, classi virtuali per una scuola finalmente digitale che navigasse col vento in poppa verso un non ben precisato futuro.
Eppure, a ben vedere, proprio le magnifiche sorti e progressive della DaD hanno riproposto vecchie ed odiose derive, verso cui, con la seduzione del mezzo digitale, la nostra nave è sembrata avviarsi con un’accelerazione giustificata – per così dire – dalla crisi. La didattica a distanza ha acuito il divario tra gli studenti di diversa estrazione sociale che la scuola di un paese avanzato dovrebbe impegnarsi a ridurre (accesso ai device, tipi di connessione, ma anche carico sulle famiglie con disponibilità o livelli di istruzione diversi); ha riproposto, sotto le mentite spoglie della lezione registrata, la vecchia insidia di un sapere trasmissivo, annullando di fatto qualsiasi interazione significativa e mortificando la relazione; ha posto i ragazzi davanti ai dispositivi ancor più ore del previsto, rendendoli più soli davanti a quegli schermi tante volte deprecati per essere il maggior responsabile dell’annullamento delle emozioni o di una percezione di sé e dei propri limiti pericolosamente fallace. Davanti ai naufraghi abbiamo dunque calato delle scialuppe che in tempi di navigazione, non dico serena, ma almeno corrente, avremmo additato come rischiose per la salvezza dei nostri passeggeri.
Quali sponde allora avremmo dovuto cercare per non perdere di vista quelle stelle polari a cui tendevamo (o dichiaravamo di farlo) prima che la tempesta oscurasse il cielo? Intanto sarebbe stato necessario, a mio avviso, riprogettare nuove attività didattiche che continuassero a legarsi all’esperienza dei nostri alunni, tenendo conto però che la loro esperienza ora sarebbe stata diversa da quella precedentemente vissuta (e certo non meno importante); che fossero attività realizzabili con applicazioni e mezzi accessibili a tutti; che fossero attività di gruppo e/o collettive, in grado cioè di far agire i ragazzi, già isolati dalla situazione contingente, non come singoli; che escludessero tempi e modi della valutazione tradizionale, ma rispettassero il vissuto degli studenti e quello delle loro famiglie. Queste almeno sono state le scelte che hanno guidato le due attività didattiche che qui condivido e che sono state portate avanti in una classe terza della scuola secondaria di primo grado.
La Letturanza. Consigli di lettura tra pari ma a distanza
Secondo quanto riferitomi dai miei studenti, uno degli aspetti che li ha disorientati fin dal primo mese di isolamento domestico è stata l’improvvisa quantità di tempo che si sono ritrovati a dover gestire. Se in una primissima fase del lockdown l’intera giornata libera è sembrata anche un’occasione positiva per rallentare rispetto agli orari stringenti in cui era incasellata la loro quotidianità (compreso l’orario scolastico), presto questa condizione ai più è sembrata bloccata e privata di stimoli. La maggior parte di loro ha cercato di riempire questo tempo vuoto ricorrendo ai videogiochi, ai social network, a YouTube che rappresentano lo stimolo più rapido, facile e collaudato per un preadolescente. Come lettrice adulta invece ho visto in questa significativa e rara disponibilità di tempo una circostanza favorevole per dare un rinnovato impulso alla promozione della lettura tra i ragazzi; come insegnante poi ho individuato nella proposta di un’attività informale un modo adeguato ed autorevole con cui la scuola avrebbe continuato ad agire. Il problema che mi si è posto, a me come a chiunque provi a tener conto del contesto di interessi e proposte privilegiate dai ragazzi, è stato quello che i libri hanno competitor ben più accattivanti e nerboruti. Invitare, o peggio obbligare, i ragazzi a lasciare telefono, tablet o console per dedicarsi alla lettura di un libro appare notoriamente ai loro occhi come un’operazione patetica e controproducente e certo lo sarebbe stata anche durante l’isolamento domestico.
L’idea di realizzare una rubrica radiofonica di consigli di lettura è nata allora proprio da questa necessità di sperimentare un tempo diverso, di continuare a essere una piccola comunità che condivide buone pratiche e ascolta e – perché no? – di provare a sfidare questi competitor noti per non lasciare loro il dominio indiscusso di un tempo non vuoto ma prezioso. Offrire un’alternativa credibile a pomeriggi, se non giornate, di social, chat o PlayStation, non avrebbe potuto tradursi nella richiesta (irricevibile) di una consegna tradizionale; tale offerta didattica doveva realizzarsi piuttosto nel proposito di un’attività educativa informale che si impegnasse a essere altrettanto se-ducente.
La scelta della radio è stata simbolica e pratica. Sintonizzarsi è un modo efficace per stare vicini sebbene lontani, perché tutti dobbiamo cercare, non solo metaforicamente, le stesse frequenze. A differenza del video, che offre molte sollecitazioni rapide allo studente che guarda, la radio utilizza esclusivamente l’audio e dunque sollecita l’ascolto per trovare il riconoscimento e la familiarità con la voce propria o dei compagni. In più proprio l’ascolto a cui la radio dispone è accostabile a ciò che, seppur in maniera diversa, anche la lettura invita, cioè prestare attenzione a voci, e dunque punti di vista, di personaggi che provengono da mondi, da tempi o da storie diverse. Questa rubrica è stata dunque la nostra risposta all’isolamento domestico, perché leggere si è rivelato un modo virtuale per uscire di casa, ma soprattutto per farlo in sicurezza e continuando a rispettare le regole necessarie. Come recita l’Invito all’ascolto, la puntata introduttiva della Letturanza, solo leggendo i gialli della Christie, i fantasy della Rowling, la fantascienza di Eraldo Affinati, o la grande Storia di un’amicizia narrata da Uhlman, è stato possibile essere fisicamente in casa, ma trovarsi a bordo dell’Orient Express, sbalzati nella Londra magica di Harry Potter, in fuga dalla Germania nazista o guardare da una prospettiva inedita New York City all’indomani dell’11 settembre (solo per citare alcuni dei libri consigliati dai ragazzi).1 E raccontare a quante più persone il buon esito di questa insolita uscita, convincerle a provare a leggere e a trovare un varco, misurarsi con il racconto dei compagni e vedere se quella ulteriore destinazione consigliata valesse la pena di essere esplorata, ecco tutto questo è sembrato ai ragazzi gratificante.
Come insegnante mi sono tenuta la regia di queste avventure domestiche in mondi di carta. Per aiutare i miei studenti a organizzare il proprio intervento sul libro, precedentemente scelto in autonomia, ho proposto loro una guida in cinque punti;2 i ragazzi mi hanno inviato i loro book talk nel formato di un file audio, che ho provveduto a riunire in puntate utilizzando la piattaforma per podcaster Spreaker.com. La rubrica che raccoglie i podcast degli alunni è stata poi resa disponibile su Spotify e trasmessa quotidianamente per le prime due settimane di maggio da una radio locale con cui è stata attivata una collaborazione. Nella seconda metà di maggio infine La Letturanza ha fatto parte degli eventi selezionati per l’edizione 2020 de «Il Maggio dei libri», quest’anno organizzata in modalità web. Attendere l’orario della striscia radiofonica pomeridiana, ascoltare alla radio la propria voce o l’intervento del compagno e sapere che altre persone ascoltavano la loro opinione sul libro letto ha entusiasmato i ragazzi, che mi hanno raccontato di essersi sentiti protagonisti, attivamente coinvolti e capaci di comunicare le ragioni delle loro letture.
Si è trattato così di un’attività che non ha rifiutato la tecnologia, perché senza l’applicazione di Spreaker non sarebbe stato possibile creare la rubrica; gli stessi ragazzi hanno utilizzato il cellulare (che tutti hanno) per ascoltare Spotify o anche la trasmissione radio, che pochi hanno cercato sulle frequenze tradizionali, preferendo la modalità web radio. Tuttavia l’aspetto tecnologico non è stato il cuore dell’attività, né quest’ultima è stata progettata per essere fruita in modalità digitale; l’utilizzo delle famigerate TIC tanto celebrate per la scuola del futuro (acronimo che sta per «Tecnologie per l’Informazione e la Comunicazione») ha avuto piuttosto un ruolo chiaramente subordinato alla finalizzazione dell’attività. D’altra parte la lettura e l’ascolto sono attività che richiedono concentrazione e la concentrazione non è affatto sinonimo di connessione; anzi la capacità di concentrarsi è una delle facoltà più compromesse proprio dall’uso dei dispositivi digitali, che rappresentano una delle principali fonti di distrazione già per noi adulti ma ancor più per i ragazzi (e disperatamente per i bambini). Ho pensato allora che fosse molto poco credibile poter chiedere ai miei studenti di leggere stando connessi, così come mi sono convinta che la scuola non debba rincorrere le mode, ma cercare sempre un’alternativa alla soluzione più facile. Questo ho inteso quando ho chiesto ai ragazzi non di connettersi, ma di disconnettersi per cercare ancora e finalmente di sintonizzarsi.
L’Abbecedario della distanza. Parole e numeri per raccontarsi
Una delle parole più invocate durante la DaD è stata relazione. Nella pratica didattica di questo difficile periodo c’è chi l’ha tradotta nell’accezione di intrattenere gli studenti isolati e smarriti per dimostrare loro che la scuola, anche intesa come socialità, c’era ancora malgrado tutto (lodevole, purché si riconosca il limite e il rischio di banalizzare la portata del termine); chi invece ha creduto che il senso della relazione fosse nella protezione, cioè nel continuare ad andare avanti proteggendo i ragazzi dal turbamento emotivo suscitato della perdita della loro quotidianità (ma di fatto quella quotidianità era persa e il turbamento poteva esser dato anche dall’assenza di strumenti per elaborare la perdita); qualcuno addirittura ha creduto che la relazione potesse essere anche richiamo al ruolo, all’ordine e agli impegni nei confronti di studenti disertori. Riconosco che il significato di relazione, così sfumato anche in presenza – perché di questo ci informano i diversi tentativi di recupero sopra accennati –, sia apparso ancor più sgranato ed incerto lontani dalle nostre aule. Nel tentativo di approssimarmi al senso, per me, più autentico di una parola così decisiva, ho pensato che la premessa che concorre a definire una relazione sia anzitutto una valutazione su tempo e spazio. Una relazione si costruisce (anche faticosamente) nel tempo, che la forgia e la rende più comprensibile, e nello spazio, perché esserci per qualcuno significa anche darsi una collocazione. Ora, considerando che durante il lockdown il tempo è stato sospensione (scandito da proroghe, bollettini giornalieri, provvedimenti pro tempore) e lo spazio ha avuto un’estensione minima dalla casa allo schermo, mi sono più volte chiesta quale forma potesse avere questa relazione per essere percepita autentica dai ragazzi.
Quando ho incontrato per la prima volta la mia classe su Zoom, ho visto comporsi sullo schermo del pc tante finestrine abitate simili a cellette. Ho chiesto ai ragazzi di validare questa impressione e per mitigare il disagio ho scherzato con loro su quale classe avremmo potuto essere: la classe alveare con un’insegnante ape regina che ne governasse le sorti, chiedendo alle operaie di produrre quanto più miele possibile; o la classe convento con un’ insegnante badessa che chiedesse loro di sciorinare rosari in un silenzio monastico, mai raggiunto in classe ma assicurato qui dall’opzione di disattivare i microfoni. Le api operaie sono sembrate l’ipotesi più accettabile, ma un altro scenario ben più realistico si è palesato quando un alunno ha detto che più che nelle cellette lui si sentiva in cella. Imprigionati in uno schermo affollato, con la connessione talvolta traballante o limitata che rendeva spesso faticoso il colloquio (chi si collegava dal cellulare poi aveva una visuale notevolmente limitata), chi si presentava in “parlatorio” in ritardo, chi rimaneva in branda e qualche altro che scivolava via silenziosamente, i ragazzi avevano ben ragione a sentirsi in cella, ma io non volevo essere il loro secondino. Se il tempo era ridotto al segmento della connessione e lo spazio alla parete schermo, perché la nostra relazione tornasse a essere espressione di sé, incontro, comunità avremmo dovuto progettare un’altra fuga. In queste circostanze il mondo libero avrebbe potuto essere raggiunto solo attraverso un’impresa creativa in cui il contributo di tutti sarebbe stato fondamentale. Era dunque importante affinare i mezzi espressivi, perché questi ci avrebbero condotto fuori dalle nostre celle, nel segno di quell’ossimoro che ormai ci rappresentava, cioè la fuga a casa e nel rispetto delle regole. Il porto sicuro che avrebbe potuto ospitare chi rifuggiva la prigionia sarebbe stato la scrittura, una scrittura collettiva e dunque rappresentativa di molti, condotta in tempi più ampi o urgenti di quelli standard delle consegne scolastiche.
A questa nostra scrittura creativa abbiamo riconosciuto la capacità di varcare il limite pur presupponendolo. In altre parole è nel territorio sconfinato delle parole, che nominano la nuova realtà e la interrogano, che una nuova relazione ha potuto darsi e lo ha fatto nella forma di una narrazione dell’attualità che riuscisse ad andare oltre il presente per riscoprirne significati nuovi: è così che ha iniziato a prendere forma il nostro Abbecedario della distanza. Come testimoniato dalla introduzione che abbiamo posto all’inizio di questa raccolta miscellanea, la parola è diventata la voce di un ipotetico dizionario della distanza. Ciascun termine si è rivelato cioè capace di ampliare il proprio significato oltre la sfera dell’utilizzo precedente, giocando con stratificazioni emotive e connotazioni personali che hanno aiutato i ragazzi a rielaborare il difficile periodo trascorso. All’imprevisto isolamento domestico, restrizione a cui non potevamo sottrarci, questa impresa creativa ha risposto con il criterio di assoluta libertà per i ragazzi nella scelta dei contenuti e delle tipologie testuali: l’unica regola imprescindibile è stato il criterio secondo cui il filo conduttore della loro scelta dovesse essere il riferimento all’esperienza presente. C’è dunque chi ha raccontato il lavoro delle proprie madri scegliendo lo O di Oss o la S di Supermercato; chi ha pensato alla N di Noia come un aspetto non solo negativo o al desiderio di Vita in V e normalità nel tornare «a palleggiare in un vero campo da calcio insieme ai compagni, […] esultare tutti insieme alla fine di ogni partita, […] respirare l’odore dell’erba mista a terra» dichiarato in P di Pallone. C’è chi ha scelto Tempo per scrivere un giallo con personaggi storici che non aveva avuto il tempo di scrivere prima; chi ha guardato la propria Finestra e il proprio Giardino non più solo come parti della propria abitazione. Invisibile e Virale sono diventati aggettivi a cui ripensare, mentre e K, X e Y, Pi greco sono diventate nuove Costanti o Variabili in grado di rappresentare i mutati rapporti della realtà. Il Cerchio non si è rivelato più solo una figura geometrica, ma si è animato per diventare il cerchio della vita, la linea di un calligramma con le parole chiave dello stare insieme, la forma bidimensionale del virus, il simbolo delle Olimpiadi rimandate a causa della pandemia o gli aerogrammi per rappresentare le percentuali dell’età dei decessi in Italia. Jolly è stato l’elemento imprevisto, ma anche la carta vincente di aver superato questo momento di difficoltà tutti insieme come classe. Queste sono solo alcune delle narrazioni multiple pubblicate a puntate sul blog di classe nel corso dei mesi di chiusura, in ordine non alfabetico ma di uscita. Fin qui le lettere, ma perché lo sconfinamento della scrittura fosse davvero libero di esplorare quanti più territori possibili, l’Abbecedario è andato oltre ed è diventato necessariamente un’attività interdisciplinare nel segno del comune denominatore della parola. Ha accolto cioè, in una felice co-regia con la mia ottima collega, Prof.ssa Chiara Massarelli, l’algebra e le scienze, attraverso la creazione di meme matematico-scientifici che raccontassero l’articolazione ben più complessa del linguaggio matematico e quella visiva dei social.
La ricchezza di questi testi e delle numerose immagini, poi raccolti e pubblicati in un volume di oltre settanta pagine, testimonia il tentativo dei ragazzi di sperimentare mezzi espressivi diversi per elaborare il loro vissuto, dando prova di saper andare oltre il presente di isolamento e lontananza per stabilire nuove relazioni possibili. I ragazzi hanno cioè sperimentato che essere creativi in un momento così difficile ha riproposto loro il significato autentico del termine, cioè quello di ripensare i significati, creare soluzione e nuovi mondi possibili.
A nessuno di questi contributi è stata attribuita una valutazione tradizionale, né era stato assegnato un tempo di consegna; i ragazzi hanno trovato in me e nella collega la disponibilità a confrontarsi sulle loro scelte linguistiche o su alcune possibili difficoltà. Questo perché attribuire un voto a una scrittura creativa, che noi stesse avevamo invitato a praticare come via d’uscita dalla reclusione, sarebbe stato un modo sterile ed ingiusto di validare o correggere un’espressione di sé e contenuti determinati da un’urgenza personale di raccontarsi. Se infatti la DaD almeno un vantaggio l’ha avuto, è stato quello di liberarci dai voti, non essendo normata la materia della valutazione. A chi ammoniva che gli studenti avevano comunque diritto a essere valutati, abbiamo preferito rispondere con il diritto a non essere giudicati per il proprio vissuto e i propri mezzi.
Il congedo da queste due esperienze, che nell’emergenza hanno provato a resistere alle sirene digitali, lascia tuttavia un’ultima considerazione ineludibile che riguarda il futuro prossimo della nostra navigazione. Se ogni esperienza didattica è anche e soprattutto un’esperienza civica, perché ci dice della relazione possibile, che è poi il rapporto col mondo che vogliamo, quale idea di società rivela la didattica digitale, così poco inclusiva, con soggetti smaterializzati e simulacri di insegnamento, per studenti isolati e differenziati sulla base delle possibilità di accesso al mezzo, affidata a piattaforme private e a competenze tecniche perlopiù acritiche? Ora che tutti abbiamo udito l’allarme sul ponte, solo un’inversione decisa di rotta potrà forse salvare la nostra nave dal disastro sicuro.
1 A. Christie, Assassinio sull’Orient Express, Milano, Mondadori, 1990; J.K. Rowling, Harry Potter e la Pietra filosofale, Milano, Salani, 2008; E. Affinati, L’11 settembre di Eddy il ribelle, Roma, Gallucci, 2011; F. Uhlman, L’amico ritrovato, Milano, Feltrinelli, 1991.
2 Cinque buoni motivi: 1. Trama (breve, brevissima presentazione della vicenda); 2. Personaggio (chi è, a chi assomiglia, perché la sua presenza è significativa); 3. Episodio significativo; 4. Tema; 5. Stile; 6. Citazione (facoltativa).