Jean-Pierre Rosnay:
frammenti di falesie instabili
Amaranta Sbardella

Jean-Pierre Rosnay attraversa con umiltà e vivido entusiasmo il secolo passato, vivendo da protagonista la storia e la cultura. Delicato e caustico allo stesso tempo, dedica la propria opera a coloro che lo hanno accompagnato nel corso della sua travagliata esistenza, dalla madre, scomparsa precocemente, ai compagni di lotta del Maquis francese, sino alla moglie Marcelle, ovvero l’Egiziana Tsou, e ai fedeli seguaci della sua poesia e della sua indagine esistenziale.

Le parole cantano melodie di rime e di canzoni antiche, in un universo però sempre attuale e cogente, dove lo sguardo del poeta non può limitarsi alla ricerca di sé. L’uomo Rosnay è ancorato al suo tempo e alla sua memoria, che lascia trasparire come lampi squarcianti i ricordi dei giovani suoi coetanei morti durante la Resistenza.

Il discorso poetico ha origine dall’hic et nunc, dal nostro esserci sulla terra, dove non è data trascendenza alcuna, ma piuttosto dove si agitano le nostre vite quotidiane. Luogo privilegiato rimane l’amore, che rincorre e arresta quel tempo fugace, dal quale l’umanità nostra, già umanità del futuro, dovrebbe trarre insegnamento.

Come racconta lo stesso poeta, «ad appena 17 anni mi sono trovato in mezzo alle raffiche delle mitragliette in Alta-Savoia. Sono stato così segnato dalla mia vita di maquisard che sono divenuto e rimango un franco-tiratore, uno di quelli che si gettano nella lotta, ma sempre senza uniforme, come amico dei sentieri inaccessibili».1 Franco-tiratore Jean-Pierre Rosnay lo è stato sia nella vita che nell’arte, propugnando uno stile poetico vivo e alla portata di tutti.2 Le immagini delle sue poesie giungono al cuore di ogni lettore, che sia colto o no. La semplicità complessa di un’anima infantile e rigeneratrice, gli intarsi delle rime, delle parole assonanti, dei ritmi coinvolgenti giocano nella prolifica produzione del poeta. L’amarezza di fondo si tramuta nell’aspirazione ad un’arte viva e palpitante, intonata sotto gli sguardi di tutti e a tutti accessibile. Nessun linguaggio già codificato, nessuna regola, nessuna divisa poetica, ma solo la genuinità e la spontaneità di un’ispirazione sempre giovane. Compagni di lotta di Rosnay, ingiustamente poco conosciuto all’estero, sono Queneau, Brassens, Moustaki, Soupault, che invece incontreranno una maggior fama.

A un anno dalla morte, su cui Jean-Pierre invitava a sorridere e a non affliggersi, conscio di aver vissuto e di aver goduto gioie e dolori, proponiamo qui alcune poesie che testimoniano la sua poliedrica produzione artistica. Si alternano poèmes en prose e poesie, dove però rimane vigile l’elemento narrativo e colloquiale, il flusso di parole a volte più aggressivo, altre timido. Animano queste poesie due filoni tematici, quello meta-poietico e quello amoroso, che s’intersecano tra loro e trapassano da un’opera all’altra.

Nota biografica

Jean-Pierre Rosnay nasce a Lione nel 1929 e muore a Parigi nel 2009. A quindici anni entra nella Resistenza con il nome di battaglia “Bébé”. Alla fine della guerra fonda il movimento artistico del Jarivisme (da “J. A. R.”, ovvero “Jeunes auteurs réunis”), che invoca la semplicità e la contingenza della creazione poetica, allontanandosi dal surrealismo dopo una iniziale adesione.

Autore prolifico, pubblica numerose raccolte di poesie, tra le quali: Rafales (Éditions I.P.O., 1950), Le Treizième Apôtre (Gallimard, 1954), Comme un bateau prend la mer (Gallimard, 1956), Les Diagonales (Gallimard, 1960), Fragment et relief (Club des poètes, 1994), Danger falaises instables (Club des poètes, 2002).

I. Pour un art poétique

Ce qu’il nous faut c’est la phrase tout terrain, insubmersible, intraveineuse, la transfusion de l’âme à l’âme. J’entre en vous par l’événement, par le détail, par le rêve qui devient réalité, par la réalité devenue rêve, par les premières vagues de l’avenir qui lampent le présent.

J’ai dépassé la vitesse du sang, le temps a cessé de m’être ennemi, il m’accompagne, me fait visiter ses laboratoires, ses jardins, ses replis, ses panoramas fantasmagoriques et ralentit le pas pour me laisser souffler.

Ce qu’il nous faut, c’est la parole vivante, qui bondit d’une cervelle à l’autre sans coup férir, avec le naturel des oiseaux et des fleurs qui finissent toujours par revenir au
poème.

Ce qu’il nous faut, c’est la poésie génitrice qui franchit les biefs et les obstacles, sans perdre ses idées ni ses plumes, les chemins de la sève, les catacombes de la mémoire, la page ciselée polie à la main, le “mot-action” se propageant comme le feu dans l’universelle conscience.

Regardez cet arbre, il naîtra dans quatre siècles, cette lunette colossale qui contrôle la circulation dans les beaux quartiers de la lune, à quinze cents années d’ici. Regardez ces hommes et ces femmes qui déjeunent sur la terre, soupent sur Vénus et dansent au son de musiques étranges, pour fêter l’avènement de l’an trois mille.

J’écrivais ce poème en mil neuf cent soixante dix-huit, à cette époque l’humanité était en projet – illisible par plus d’un côté, ployant sous les ténèbres et bric-à-brac d’une technologie balbutiante. L’argent, plus que la pesanteur, nous contraignait à toutes sortes de contorsions.

Pour beaucoup, l’amour n’était qu’une façon de boire. Insecte délirant, l’homme détruisait l’homme à tout propos, tandis que la femme, source de vie, nageant entre paupière et genou, le berçait, musique à la surface des yeux, toujours une île de côté.3

I. Per un’arte poetica

Quello che ci occorre è la frase versatile, insommergibile, intravenosa, la trasfusione da anima a anima. Penetro in voi col fatto, col dettaglio, col sogno che diventa realtà, con la realtà divenuta sogno, con le prime onde del futuro che tracannano il presente.

Ho sorpassato la velocità del sangue, il tempo ha cessato d’essermi nemico, m’accompagna, mi fa visitare i suoi laboratori, i suoi giardini, le sue pieghe, i suoi panorami fantasmagorici e rallenta il passo per farmi riprender fiato.

Quello che ci occorre è la parola viva, che guizza da un cervello all’altro senza colpo ferire, naturale come gli uccelli e i fiori che poi sempre tornano alla poesia.

Quello che ci occorre è la poesia genitrice che supera ostacoli e fossati senza perdere le sue idee o le sue piume, i percorsi della linfa, le catacombe della memoria, la liscia pagina cesellata a mano, le “parole-azioni” che si propagano come fuoco nella coscienza universale.

Guardate quell’albero, nascerà tra quattro secoli, quest’enorme cannocchiale che controlla la circolazione sui quartieri chic della luna, a quindici centinaia d’anni da qui. Guardate quegli uomini e quelle donne che pranzano sulla terra, cenano su Venere e danzano al ritmo di musiche straniere, per festeggiare l’avvento dell’anno tremila.

Questa poesia la scrivevo nel millenovecentosettantotto; a quei tempi l’umanità si andava facendo, illeggibile per molto aspetti, curva sotto le tenebre e cianfrusaglia d’una tecnologia balbuziente. Il denaro, più che la gravità, ci obbligava a ogni sorta di contorsione.

Per molti l’amore non era che una maniera di bere. Delirante insetto, l’uomo annientava l’uomo per qualsiasi motivo, mentre la donna, sorgente di vita, nuotando tra palpebra e ginocchio, lo cullava, musica della superficie degli occhi, sempre isola al suo fianco.

II. Un poème, s’il vous plaît

Nous voulons du Rilke
Un peu de chocolat
Et surtout pas de conseils
Si vous y tenez vraiment
Une réflexion ou deux
Mais pas : fais ceci fais cela
regarde devant toi remonte tes chaussettes
Du Cendrars
Un peu de chocolat
Si ce n’est trop demander
on aimerait aussi ne plus entendre parler
de la guerre
Ou alors, si vraiment vous n’y tenez plus
si vous éprouvez l’irrépressible besoin
de parler de bombes de sang bref de guerre
ne parlez pas de la dernière
que nous n’avons pas connue
nous nous sentons mal à l’aise
rejetés
en trop
si vous voulez vraiment parler d’une guerre
alors parlez de la prochaine
celle qui sera la nôtre
et qui sans doute sera
aussi grande aussi somptueuse que la vôtre
où nous aurons un rôle
à jouer
où beaucoup d’entre nous se feront
tuer comme des rats
en chantant aussi des chansons héroïques
avec des musiques stimulantes
bouleversantes
que les oiseaux s’il en reste quelques-uns
reprendront au refrain
Nous voulons de l’Audiberti
du jambon cru du pain de campagne
une bouteille ou deux
de la bienveillance de la marge
deux ou trois Aragon quelques Michaux
un Queneau de derrière les fagots
un Desnos un Rosnay un Vian
l’autorisation de minuit et un Marie Noël
même si nous rentrons à 3 heures du matin

S’il vous plaît pas de commentaires
Nous voulons du Max Jacob du Cadou du Saint-Pol-Roux
et deux Daumal pour Sabine
quelque chose à se mettre au creux de l’âme
Mais surtout pas de conseils.4

II. Una poesia, per favore

Vogliamo un po’ di Rilke
E della cioccolata
E soprattutto nessun consiglio
Se davvero vi sta a cuore
Una riflessione o due
Ma non: fai questo fai quello
Guarda davanti a te rialzati le calze
Un po’ di Cendrars
Della cioccolata
Se non è chieder troppo
ci piacerebbe anche non sentir più parlare
della guerra
O allora, se davvero non v’interessa più
se provate l’irresistibile bisogno
di parlare di bombe di sangue cioè di guerra
non parlate più dell’ultima
che non abbiamo conosciuto
ci sentiamo a disagio
respinti
in troppi
se volete davvero parlare d’una guerra
allora parlate della prossima
quella che sarà la nostra guerra
e che senza dubbio sarà
così grande così suntuosa come la vostra
dove avremo un ruolo
da recitare
dove molti di noi si faranno
uccidere come topi
cantando per di più eroiche canzoni
con musiche stimolanti
commoventi
che gli uccelli se ne resta qualcuno
riprenderanno nel ritornello
Vogliamo un po’ di Audiberti
del prosciutto crudo del pane di campagna
una bottiglia o due
la benevolenza a margine
due o tre Aragon qualche Michaux
un Queneau dietro le fascine
un Desnos un Rosnay un Vian
l’autorizzazione per mezzanotte e una Mari Noël
anche se rientriamo alle 3 di notte

Per favore nessun commento
Vogliamo un po’ di Max Jacob di Cadou di Saint-Pol-Roux
e due Daumal per Sabine
qualcosa da mettere al fondo dell’anima
Ma soprattutto nessun consiglio.

III.

Rappelle-toi les promesses que je t’ai faites quand nous avions vingt ans. Maintenant, il faut que les tiennes. As-tu remarqué au fil de notre amour comme le temps est court quand on l’enserre dans un baiser? As-tu remarqué comme il est léger sous les cerisiers? Et ce n’est pas du seul fait de la rime. As-tu remarqué sur un quai de gare comme le temps est bizarre, s’égare, s’effare? As-tu remarqué dans un port comme le temps est fier et fort? As-tu remarqué sur les aéroports comme le temps ignore la mort?

As-tu remarqué dans les yeux des enfants comme le temps se penche en avant? Comme il est émouvant, poignant, insolent, innocent?

As-tu remarqué comme les arbres et les vieux murs et certaines œuvres d’art semblent immobiliser le temps, le tiennent en suspens comme au-dessus d’un vide ou de la portée des mots, alouette nichée entre les dents d’un fauve endormi?

As-tu remarqué? As-tu remarqué? Comme le temps accélère ou décélère selon qu’il est emporté par le flot d’un sanglot ou pris en charge par le rythme d’un thème musical ou arraché à lui-même et redistribué, remonté, démonté, dépassé, effacé par un poème? As-tu remarqué durant notre saison humaine comment l’homme créa Dieu, puis le jeta après usage, comme ces soldats qui enlèvent leurs chaussures pour fuir plus vite?

As-tu observé l’atroce agonie des mouches sur des rubans badigeonnés de glu parfumée?

Voilà, manamou, un quart de siècle que je lis le monde dans tes yeux. Maintenant, nous devons apprendre à nous quitter, sans éclat ni blessure. Le premier qui s’en va prépare la place de l’autre et des sabots pour nos enfants.

Manamou, regarde! du bout de mon crayon j’ai cloué le temps sur la page. Désormais, nous sommes hors de son atteinte, liés l’un à l’autre et l’autre à l’un, éternels et accomplis.5

III.

Ricorda le promesse che ti feci a vent’anni. Ora sta a te mantenerle. Nei nostri anni d’amore hai notato come, racchiuso in un bacio, il tempo è breve? All’ombra di un ciliegio hai tu notato come il tempo è lieve? E non è solo un gioco di rime. Hai notato come, sulla banchina di una stazione, è bizzarro il tempo, come si ritira sgomento? Hai notato come, all’interno di un porto, il tempo è fiero e forte? Hai notato come il tempo ignora i morti, al chiuso degli aeroporti?

Hai notato negli occhi degli infanti come il tempo si sporge in avanti? Come è commovente, straziante, innocente, insolente?

Hai notato come gli alberi e i vecchi muri e alcune
opere d’arte sembrano arrestare il tempo, tenerlo in
sospeso, sul vuoto o vicino alle parole, come un’allodola
che ha fatto il nido tra le zanne di una belva
addormentata?

L’hai notato? Lo hai notato? Come il tempo accelera o decelera se trascinato dal flutto di un singhiozzo o puntellato dal ritmo di un tema musicale o strappato a se stesso e ripartito, smontato, rimontato, oltrepassato, cancellato da una poesia? Hai notato nella nostra vita umana come l’uomo ha creato Dio e lo ha poi gettato via dopo averlo usato, al pari di quei soldati che si sfilano le scarpe per fuggire più in fretta?

Hai osservato l’atroce agonia delle mosche sui nastri adesivi profumati?

Amormio, è un quarto di secolo che leggo il mondo nei tuoi occhi. Ora dobbiamo imparare a separarci, senza pena né ferite. Il primo che se ne va prepara il posto all’altro e gli zoccoletti ai nostri figli.

Amormio, guarda! Con la punta della matita ho inchiodato il tempo sulla pagina. D’ora in poi, siamo liberi dalle sue grinfie, legati l’uno all’altra e l’altra all’uno, perfetti e immortali.

IV. A Tsou l’égyptienne

Par-desuus le toi des guitares
Ses yeux et son sourire bleu
La nuit mêlée à ses cheveux
Chaque train oubliait sa gare
La flux et le reflux de la mer intérieure
Qui animait mon cœur à la cause du sien
Me faisait ressemblant à ces ombre de chien
Qu’on voit laper la nuit des restes de lueurs
Mon Égyptienne ma mythique
Quand nous baignerons-nous à nouveau
Au port d’Alexandrie entre ces vieux rafiots
Dont la voile crevée donnait de la musique
Du haut de la plus haute pyramide
Léchée par des millions de regards touristiques
Entre Son Lumière légendes et cantiques
Je t’apporte ces mots de sang encore humides
Ces inhumains versets d’amours supra-humaines
Quand le poète écrit d’amour à son aimée
Il charge son crayon d’encre à éternité
Puis lui dit simplement Madame je vous aime
Et je vous saurais gré de l’avoir remarqué

IV. A Tsou l’egiziana

Al di sopra del te delle chitarre
Gli occhi suoi e il suo sorriso azzurro
La notte ch’era tutt’uno colla chioma
Ogni treno scordava la stazione
Il flusso e il riflusso del mare interiore
Che animava alla causa del suo anche il mio cuore
Rassomigliavo così a quelle ombre di cani
Che trangugiano nella notte quel che resta del chiarore
Mia Egiziana mia mito
Quando ancora una volta ci immergeremo
Nel porto di Alessandria tra vecchie tartane
Dalle vele forate che di musica risuonavano
Dall’alto della piramide più alta
Accarezzata da milioni di sguardi di turisti
Cantici e leggende nella Sua Luce
Ti dono queste parole ancora umide di sangue
Questi inumani versetti di amori sovrumani
Quando il poeta scrive d’amore alla sua amata
D’inchiostro eterno alimenta la matita
Poi semplice le dice Signora mia vi amo
E vi sarei immensamente grato se l’aveste notato

V. Pêche à la ligne

Vingt ans après, il lui avait dit je t’aime, non sans précaution et difficulté d’ailleurs, il le lui avait dit de telle sorte – et sur un ton qui pouvait aisément passer pour de la plaisanterie – il le lui avait dit si vite et si bas, qu’elle ne l’avait peut-être pas entendu. Puis, feignant les gestes préalables à la mise en marche du sommeil, très vite il s’était retourné sur le ventre et doucement, longuement, il avait mordu l’oreiller et recommencé sa pêche à la ligne. Lui qui ne pêchait jamais, maintenant, comme presque chaque nuit avant de s’endormir, il pêchait les divers cadavres de sa jeunesse: l’enfance tendre et éperdue – comme sont toutes les enfances – l’adolescence tourmentée et douloureuse, – comme sont toutes les adolescences – et toutes morts qui pleuvaient autour de lui.

Elle dormait sans doute – peut-être, peut-être. Sait-on jamais si l’autre dort vraiment ou si lui ou elle n’est pas aussi projeté dans son théâtre d’ombre, ailleurs, là-bas, là-bas ?

Il lui avait dit, vingt ans après, je t’aime, très vite et très doucement, de crainte qu’elle ne l’entendît – car il était de ces hommes pour qui il y a des choses qu’un homme ne dit pas, parce qu’elles furent trop dites, parce qu’il y a des mots qu’on ne prononce pas, parce que l’amour c’est très grave, parce que l’on ne dit pas à une femme, pas même à Dieu, des mots pareils – c’est une affaire de pudeur – parce qu’un cheval ou un aigle, un ours, un caïman, ne dit jamais des choses pareilles, ni même un chien à son maître – et pourtant, il arrive qu’un aigle, qu’un cheval, qu’un ours et meme qu’un chien aime un homme ou une femme, parce que’il y a des choses qu’on ne dit qu’avec les yeux, ou le silence – les yeux et le silence qui sont les porte-parole de l’essentiel, de ce que l’on appelle âme et qu’une âme bien élevée ne parle pas avec des mots, les mots de toujours et de tout le monde si souvent trahis, parce que ce sont des choses que les poètes écrivent, comme ça, à personne, par pudeur aussi, mais que l’on n’adresse pas à l’intéressé,

car on ne dit pas au feu qu’il brûle,

car on ne fait pas de déclaration d’amour à la nuit, au soleil, à la tempête,

car on ne remercie pas ses yeux parce qu’ils sont bleus, parce qu’on ne reproche pas à ses yeux d’être noirs ou
verts,

car on ne fait pas de compliments à son cœur parce qu’il bat fidèlement depuis l’aube,

car on ne reproche pas à sa gorge d’être sèche ou humide,

car l’amour est un fait de nature, une germination, une croissance, une fatalité,

car une femme n’est pas un clair de lune, ni une mésange, ni une rose, (n’en déplaise à monsieur de Ronsard),

car un homme n’est pas un épi de soleil, ni un dolmen endormi dans un repli du temps, car il était de ceux qui n’avouent jamais, comme les brigands d’autrefois ou les rebelles.

Il lui avait dit je t’aime, vingt ans après, il le lui avait dit si vite et si bas qu’elle ne l’avait peut-être pas entendu, puis, feignant les gestes préalables à la mise en état de sommeil, très vite il s’était retourné sur le ventre et doucement, longuement, il avait mordu l’oreiller.6

V. Pesca con lenza

Vent’anni dopo, le aveva detto ti amo, tra l’altro non senz’accortezza e difficoltà, glielo aveva detto in una tale maniera – e con un tono che poteva facilmente passare per scherzoso – glielo aveva detto così piano e veloce che forse lei non lo aveva sentito. Poi, fingendo di prepararsi per dormire, si era girato rapidamente sulla pancia e lentamente, a lungo, aveva morso il cuscino e ricominciato a pescare. Lui che non pescava mai, ora, come quasi ogni sera prima d’addormentarsi, ripescava i vari cadaveri della sua giovinezza: l’infanzia tenera e disperata – come tutte le infanzie – l’adolescenza tormentata e dolorosa – come tutte le adolescenze – e tutte le morti che gli piovevano attorno.

Sicuramente lei dormiva – forse, forse. Come si fa a sapere che l’altra persona dorma veramente o che non sia sprofondata anche lei, o lui, nel suo teatro d’ombre, altrove, laggiù, laggiù?

Le aveva detto, vent’anni prima, ti amo, così piano e veloce, per paura che non lo capisse, – perché era uno di quegli uomini per i quali un uomo non dice certe cose, perché ne furono dette troppo, perché ci sono delle parole che non si pronunciano, perché l’amore è molto serio, perché simili parole non si dicono a una donna, figurarsi a Dio, – questione di pudore – perché un cavallo o un’aquila, un orso, un caimano non direbbero mai queste cose, come neanche un cane al proprio padrone, – eppure, capita che un’aquila, un cavallo, un orso o un cane amino un uomo o una donna, perché ci sono cose che si dicono solo con gli occhi, o col silenzio – gli occhi e il silenzio che sono i portavoce dell’essenziale, di quello che chiamiamo anima e che un’anima nobile non si esprime a parole, parole di sempre e di tanti così spesso tradite, perché le parole i poeti le scrivono a nessuno, così, anche per pudore, ma mai al diretto interessato,

giacché non si dice al fuoco che brucia,

giacché non si fanno dichiarazioni d’amore alla notte, al sole, alla tempesta,

giacché non si ringraziano i propri occhi per essere azzurri, giacché non si rimproverano i propri occhi d’essere neri o verdi,

giacché non si fanno complimenti al proprio cuore se batte fedele dall’alba,

giacché non si apostrofa la propria gola se è secca o umida,

giacché l’amore è naturale, una germinazione, una crescita, una fatalità,

giacché una donna non è un chiaro di luna, né una cinciallegra, né una rosa (non me ne voglia il signor de Ronsard),

giacché un uomo non è una spiga al sole, né un dolmen addormentato in una piega del tempo, perché era uno di quelli che non confessano mai, come i ribelli o i banditi di un tempo.

Le aveva detto ti amo, vent’anni dopo, glielo aveva detto così piano e veloce che forse lei non l’aveva capito, poi, fingendo di prepararsi per dormire, si era girato sulla pancia e lentamente, a lungo, aveva morso il cuscino.

VI. Ordre du jour

Tenir l’âme en état de marche

Tenir le contingent à distance
Tenir l’âme au-dessus de la mêlée
Tenir Dieu pour une idée comme une autre
un support, une éventualité,
une contrée sauvage de l’univers poétique
Tenir les promesses de son enfance
Tenir tête à l’adversité
Ne pas épargner l’adversaire
Tenir parole ouverte
Tenir la dragée haute à ses faiblesses
Ne pas se laisser emporter par le courant
Tenir son rang dans le rang de ceux qui sont décidés
à tenir l’homme en position estimable
Ne pas se laisser séduire par la facilité
sous le prétexte que les pires
se haussent commodément au plus haut niveau
et que les meilleurs ont peine à tenir la route
Etre digne du privilège d’être
sous la forme la plus réussie: l’homme.
Ou mieux encore, la femme.7

VI. Ordine del giorno

Tenere l’anima sull’attenti

Tenere a distanza il contingente
Tenere l’anima al di sopra della mischia
Tenere Dio per un’idea come un’altra
un supporto, un’eventualità,
una contrada selvaggia dell’universo poetico
Tenere le promesse dell’infanzia
Tenere testa alle avversità
Non risparmiare l’avversario
Tenere parola aperta
Tenere alta la testa contro le proprie debolezze
Non lasciarsi trasportare dalla corrente
Tenere il proprio rango nei ranghi di chi è deciso
a tenere l’uomo in stimabile posizione
Non lasciarsi sedurre dalla facilità
col pretesto che i peggiori
agevolmente s’alzano al livello più alto
e che i migliori penano a tener la strada
Essere degno del privilegio d’essere
nella forma più riuscita: l’uomo.
O, meglio ancora, la donna.

Note

1 J.-P. Rosnay, Rafales, Paris, Éditions I.P.O., 1950, p. 9.

2 A testimonianza della sua continua attenzione verso il pubblico sono le trasmissioni radiofoniche e i programmi televisivi sulla poesia che Rosnay conduce dagli anni ’60; rimane celebre il saluto con il quale era solito rivolgersi al suo pubblico: “Amici della poesia, buonasera!”. La vocazione filantropica e filoletteraria è confluita poi nella fondazione di un locale, il Club des poètes, a Parigi, dove ancora oggi la moglie e il figlio continuano a condividere con tutti il piacere della poesia.

3 In J.-P. Rosnay, Fragment et relief, Paris, Club des poètes, 1994, pp. 25-26.

4 Ivi, pp. 193-194.

5 In J.-P. Rosnay, Danger falaises instables, Paris, Club des poètes, 2004, pp. 30-31.

6 Ivi, pp. 9-11.

7 In J.-P. Rosnay, Fragment et relief, cit., p. 80.