«In due nettamente tagliato si sentiva»
La simmetria del desiderio nella terza narrazione di Ezio Sinigaglia
Fabio M. Rocchi

Nel febbraio di questo 2020 è uscito per TerraRossa Edizioni L’imitazion del vero di Ezio Sinigaglia, dopo la pubblicazione di Eclissi (Nutrimenti, marzo 2016) e dopo la ristampa in nuova edizione di Il pantarèi (TerraRossa, gennaio 2019), in realtà scritto tra il 1976 e il 1980 e già pubblicato una prima volta, senza alcun riscontro di critica e di lettori, nel 1985, dalla SPS di Luciano Conosciani. La ricostruzione di una vicenda editoriale quanto meno particolare come quella di Sinigaglia (Milano, 1948) necessita di opportune precisazioni e di un approccio vigile in sede di analisi. Essendo anche L’imitazion del vero una narrazione in realtà proveniente dalla fine dei lontani anni Ottanta, che ha visto la luce a distanza di oltre un trentennio in seguito alla riscoperta dell’autore da parte di Giuseppe Girimonti Greco e di Giovanni Turi, la prima domanda che viene automatico porsi è dunque se Sinigaglia possa essere considerato un autore a tutti gli effetti contemporaneo. La seconda riguarda la scelta del genere. In una splendida versione imitata di un periodare volgare tre-quattrocentesco – e quindi ampio, musicale, ricco di parallelismi, di subordinate costruite sul differimento del senso attraverso la posposizione del predicato verbale – va in scena una deliziosa novella esemplare (impossibile non associarla subito al modus di racconto proprio del Novellino, del Boccaccio, del Bandello o del più tardo Grazzini-Lasca) in cui il tema portante è, come in molti exempla utilizzati nel Decameron, la forza e la legittimità naturale dell’attrazione amorosa. Alla luce di queste coordinate preliminari, ci troviamo in presenza di un outsider della letteratura italiana, un sopravvissuto alla temperie postmoderna e postmodernista; oppure siamo di fronte ad una voce che è in grado, grazie ad una notevole consapevolezza del canone e dei generi di riferimento, di utilizzare la letteratura per offrire squarci interpretativi sull’oggi? Credo sia presto per dare una risposta definitiva, visto che sono in corso di pubblicazione altri scritti, recuperati dal passato ancora inedito di Sinigaglia così come dal suo presente. Certamente l’impressione è quella di una voce autentica, a tratti potente, dotata di un immaginario originale, coerente per stile e figure. Una voce che non ha paura di percorrere la via della narrazione impegnata e che non ha problemi nell’affrontarne le inevitabili difficoltà, benché le richieste imposte dal mercato editoriale (non soltanto da quello mainstream) siano di altra natura.

In L’imitazione del vero la sessualità che regola le azioni dei due protagonisti Landone e Nerino – e del comprimario Petruzzo – è di tipo omoerotico. Si tratta di una forza che i personaggi non possono che assecondare, costretti però a farlo in maniera coperta, a causa dell’interdetto sociale che nel regno di Lopezia – cronotopo astorico in cui è ambientata la vicenda – punisce severamente i colpevoli del reato di sodomia. Landone e Nerino, descritti come perfetti opposti, complementari sia per età che per caratteristiche somatiche, cercano di darsi sollievo nella ricerca del piacere, riuscendovi a più riprese. L’eros trova nel testo una ingegnosa collocazione di tipo spaziale e simbolico. L’appagamento simmetrico del desiderio si concentra nel luogo dell’artificio, ovvero la botticella in cui a turno i personaggi si calano e ricavano godimento. Per come è concepita, la botte scandisce lo spazio e il tempo del sesso, assegnando alle parti del sopra e del sotto significati inversi. Chi vi entra rimane con i genitali nascosti e con metà busto esposto. Da sotto, nel frattempo, chi attende celato simula i gesti di una sofisticata macchina artificiale e appaga il suo amato con la parte superiore, a sua volta gratificando il proprio intimo. Sembra quasi che in questa figurazione ricorrente, con la quale l’autore ci regala un modo malizioso ed efficace per descrivere l’atto della masturbazione, si possa assistere ad una delle più esplicite reificazioni della formula R grande su r piccola, ovvero Repressione su represso, secondo una formalizzazione mutuata dalla terminologia freudiana per spiegare alcuni fenomeni letterari e introdotta dal critico e teorico Francesco Orlando. In altre parole, in Freud, come è ampiamente noto, l’interdizione sociale e il comune senso della morale reprimono nel soggetto una soddisfazione istintuale. In questa tensione tra superego vigile e cosciente e pulsione psichica anche la letteratura, secondo la teoria elaborata appunto da Orlando (Per una teoria freudiana della letteratura, 1973), assolverebbe la funzione di una valvola di sfogo, liberando manifestazioni fino a un certo punto conscie e in grado di rappresentare un ritorno del represso non tanto sessuale ma soprattutto sociale – reso innocuo perché sublimato dalla finzione – equiparabile ad alcuni meccanismi retorici propri ad esempio del sogno, del lapsus e del motto di spirito. In Sinigaglia, in un luogo ben preciso, delimitato simbolicamente dal retrobottega dell’artigiano-artefice Mastro Landone, si verificano gli abboccamenti lussuriosi tra l’uomo maturo e il giovinetto, entrambi a fasi alterne dominatori consapevoli e allo stesso tempo prede, in uno scambio di ruoli in cui la ragione viene finalmente sottomessa. Non si tratta soltanto di un raffinato scambio di effusioni. Il cuore del problema mi sembra sia rappresentato, su un piano più generale, dalla resilienza a regole morali imposte e però contrarie alla soddisfazione dell’istinto. La scissione in due parti è letterale e trova conferme in una serie esplicita di sintagmi: «Sì che, nelle due parti nelle quali si sentiva tagliato…»; «… le due metà di Nerino per solito si facevano guerra»; «…dentro la botte, dove già Nerino in due Nerini nettamente tagliato si sentiva» e altri. Più volte questo motivo viene introdotto nel testo, per descrivere una condizione di disagio da parte di chi è costretto alla rinuncia o alla scelta. L’ammissione del sentirsi divisi, spezzati, tagliati in due, separati da qualcosa che solo il raggiungimento dell’orgasmo può restituire, ha una ricaduta ulteriore. Ci spostiamo dalla coerenza interna dei significanti a una memoria troppo ingombrante per non essere quanto meno citata. Sembra quasi di sentir riecheggiare in sottofondo la perorazione di Aristofane che, replicando a Erissimaco e Pausania, ricorda la natura primitiva e piena di vigore del terzo sesso. Zeus aveva separato ciò che era molto vicino alla potenza e all’arroganza degli dèi, costringendo il genere umano a un incessante, faticoso tentativo di recupero della perfezione perduta. L’idea archetipica delle due metà, che fin dai tempi del Simposio platonico (IV secolo a.C.) vagano nell’affannosa ricerca di un senso di completezza svanito, viene ripresa in maniera credo abbastanza puntuale anche se implicita dalla figuralità della novella. Il richiamo ad uno dei tópoi più celebri tramandatici dalla classicità, in questo caso greca, spiega le urgenze ancestrali dell’aspirazione alla ricomposizione prima di tutto androgina. C’è poi un altro aspetto degno di sottolineatura, relativamente alla questione dell’eros omosessuale. Se si considera il sottogenere omoerotico della letteratura italiana del Novecento la coppia Landone-Nerino costituisce uno straordinario unicum in grado di spezzare una continuità quanto meno problematica. Il confronto andrebbe approfondito senza alcun dubbio con maggiore attenzione e con una trattazione puntuale sulla distanza tra i generi, ma una tra le qualità di questa coppia balza agli occhi, segnando una differenza sostanziale rispetto ad altri precedenti: l’impiego dell’ironia e della svagatezza, contrapposta alla proibizione sociale. Il microcosmo impermeabile della bottega, nel quale Landone e Nerino si dedicano a loro stessi, esclude di fatto la società. Questa, seppure presente, nulla può e nulla eccepisce, non interferendo nella relazione e non intaccando la psicologia dei personaggi. In altri esempi, lungo tutto il secondo Novecento, la questione omoerotica si fonde con figure di reticenza sofferte e con una invadenza corrosiva e fuorviante da parte di quelli che potremmo individuare come antagonisti esterni. In una rapida carrellata, l’Ernesto di Saba, l’io narrante di Altri Libertini nei racconti di Tondelli, il Barbino di Seminario sulla gioventù di Busi, il professore di Scuola di nudo nel primo Walter Siti condividono l’aggressività invadente e moralistica dell’esterno, senza riuscire fino in fondo a immunizzarsi e a tenerla lontana. La conquista di una dimensione personale coincide sempre con uno strappo, una deviazione che, proprio mentre cerca di affermare l’emancipazione, segna anche una frattura con la comunità circostante. Non così in Sinigaglia, che invece affronta l’argomento edificando l’allegoria dell’artificio con soluzioni retoriche spesso tenute in equilibrio grazie alla risorsa dell’ironia. A ribadire questa tendenza, svagata e gioiosamente risolta, sta il finale della narrazione. Gli opposti finalmente riunitisi, in sede di explicit rischiano di essere scoperti a causa di una serie di contrattempi di cui è testimone Petruzzo. E invece, con una giravolta beffarda, il narratore ci illumina su ciò che la comunità ha saputo e ha fatto prontamente circolare sul loro conto. Il rapporto tra l’artefice e l’allievo ne esce immacolato. Tutti in Lopezia si persuadono di una versione edificante, confacente al rispetto della morale; una versione che chiama in causa il lavoro, le nottate insonni e la passione per l’arte, assolutamente verosimile, ma al tempo stesso quanto mai lontana dal vero. Nell’inatteso happy ending assistiamo alla vittoria della coppia che ha ritrovato il suo intero, in un clima molto ben congegnato anche nella scelta della tonalità.

L’artificio, precedentemente definito dalle modalità dell’allegoria, è il secondo nucleo tematico, dopo la questione omoerotica, che rende significativa questa storia, tanto atipica quanto attraente. Quando Landone, «artefice di grandissimo ingegno» e in alcune caratteristiche assimilabile a Leonardo da Vinci, ricostruisce con il legno un abbozzo di automa, nel momento in cui insegue l’idea della creazione di un Nerino-doppio e tridimensionale – poiché insoddisfatto delle sole figure disegnate su una superficie piana – veniamo introdotti nel campo semantico dell’imitazione mediante una componente straordinariamente contemporanea, anche se la storia come si ricordava è stata scritta alla fine degli anni Ottanta: quella della virtualità automatizzata. Senza arrivare al mondo dell’autorappresentazione di sé mediata dalla tecnologia web – divenuta in poco meno di un decennio così preponderante – l’elemento di una realtà per così dire aumentata attraverso l’artificialità è un tema che parla del nostro vissuto più attuale, con caratteristiche ipermoderne per giunta.

In conclusione, alla luce di queste considerazioni, le presenze intertestuali dirette e indirette che costituiscono l’alveo in cui l’intera narrazione si muove e allo stesso tempo si definisce rendono L’imitazion del vero molto più di un semplice divertissement letterario ben riuscito. Sinigaglia sceglie consapevolmente di esprimersi attraverso un genere da molto tempo estinto – quello della novella trecentesca – per iniettarvi suggestioni e dettagli molto più produttivi, dal punto di vista del senso, rispetto ad una semplice esibizione di richiami eruditi. Gioca con il canone, superando però le istanze postmoderne e invece rivitalizzando con allusioni lanciate in direzione dell’oggi – talvolta anticipandone addirittura alcune svolte – uno schema narrativo ormai esausto e a prima vista del tutto inadatto a dialogare con un pubblico contemporaneo. Siamo di fronte a un ideale molto alto di letteratura: quello che cerca di spiegare attraverso figure complesse, fruibili a più livelli di comprensione. Un modello che riesce a comunicare attraverso la simulazione, l’imitazione, di esperienze possibili e soprattutto socialmente condivisibili.

Bibliografia minima su Sinigaglia

La storia editoriale di Sinigaglia è ripartita di fatto nel 2016 e ha accelerato il suo corso da poco più di due anni. Al momento il dibattito critico, che si è comunque subito acceso dopo la ripubblicazione di Il pantàrei, conta numerosi articoli usciti in riviste e lit-blog, oltre che sulla carta stampata. Cominciano inoltre ad apparire i primi saggi in volume ed è facile prevedere l’intensificarsi di questo tipo di produzione di qui ai prossimi mesi. Riporto un primo parziale elenco, aggiornato al 30 novembre 2020, dei contributi che si sono occupati dell’autore, prediligendo quelli che hanno avuto come focus L’imitazion del vero.

Diego Bertelli, «Tutto scorre» nella scrittura: un primo sondaggio su «Il pantarèi» di Ezio Sinigaglia, in «Fronesis», 29, 2019, pp. 123-128.

Mariolina Bertini, Ezio Sinigaglia: dall’artificio alla perfezione eccelsa per narrare l’eros pedagogico, in «Giacomo Verri Libri», 24 novembre 2020.

Francesco Borrasso, La vera letteratura è ancora viva. «L’imitazion del vero» di Ezio Sinigaglia, in «Sul romanzo», 3 marzo 2020.

Biagio Castaldo, Ezio Sinigaglia, lo scrittore ignorato per troppo tempo ora candidato al Premio Strega, in «Il Riformista», 27 Giugno 2020, p. 9.

Alice De Gregoriis, Il collasso delle dicotomie. Su «L’imitazion del vero» di Ezio Sinigaglia, in «La Balena Bianca», 4 settembre 2020.

Gianluca Garrapa, Il coraggio del desiderio. «L’imitazion del vero» di Ezio Sinigaglia, in «Sul romanzo», 15 aprile 2020.

Giuseppe Girimonti Greco, L’intervista letteraria: Giuseppe Girimonti Greco dialoga con Ezio Sinigaglia, in «Zest», 18 gennaio 2018.

Paolo Lago, Nel vortice della scrittura. «Il pantarèi» di Ezio Sinigaglia, in «Carmilla online», 3 maggio 2019.

Paolo Lago, Una onnivora e metamorfica «Imitazion del vero», in «Il Pickwick», 11 settembre 2020.

Lorenzo Leone, «L’imitazion del vero di Ezio Sinigaglia», in «Cabaret Bisanzio», 18 marzo 2020.

Matteo Marchesini, «Pantarei», per esempio, in «Il Foglio», XXIV, 295, 22 dicembre 2019, p. X.

Angela Marino, Su «L’imitazion del vero» di Ezio Sinigaglia, novella boccaccesca del nostro tempo tra amore e marchingegni, in «L’eco del nulla», 23 marzo 2020.

Piergiorgio Paterlini, L’amore socratico nella favola bella del tempo che fu, in «Robinson», 182, 30 maggio 2020, p. 12.

Mimma Rapicano, Cinque domande a Ezio Sinigaglia: scrivere tra percezione, gusto e desiderio, in «Formicaleone», 3 ottobre 2020.

Giuseppe Rizzi, Quel grande autore che avevamo quasi perso: la riscoperta di Ezio Sinigaglia, in «Il rifugio dell’Ircocervo», 26 febbraio 2019.

Livio Santoro, L’eros e la lingua italiana: giochi e cronache da Lopezia, in «Quaderni d’altri tempi», 28 aprile 2020.

Andrea Talarico, «L’imitazion del vero» di Ezio Sinigaglia. Una recensione e qualche domanda all’autore, in «Culturificio», aprile 2020.

Gioacchino Toni, Artefatti e artifici dell’inganno. «L’imitazion del vero» di Ezio Sinigaglia, in «Carmilla online», 11 agosto 2020.