«Ich höre aufmerksam
meine Feinde zu –
Ascolto attentamente
i miei nemici»
Il carteggio Fortini – Enzensberger
Matilde Manara

Impossibile poi prevederne l’effetto, quando ciò che scriviamo viene spinto a cento chilometri e una lingua di distanza: altre luci, altri accordi, una storia sconosciuta ed ecco, molto viene perduto.1

Che un autore si trovi, nel medesimo tempo, a tradurre le poesie di un altro e a essere, da questo altro, tradotto a sua volta, è circostanza poco consueta e gravida di implicazioni: lo è ancor di più se i due condividono un orizzonte di pensiero comune, occupano posizioni analoghe all’interno del campo letterario nazionale, guardano agli stessi modelli poetici. Così, quando questa occasione si offre a Fortini e Hans Magnus Enzensberger, detentori entrambi di un elevato capitale simbolico e insieme maldisposti a vestire, all’interno dei rispettivi contesti, i panni dell’intellettuale organico, ciò che scaturisce dal colloquio va ben oltre i ragguagli in materia di traduzione.

È il 1961: in piena contesa editoriale, Einaudi e Feltrinelli conducono una vera e propria lotta per il controllo del mercato librario, investendo pesantemente nelle letterature straniere, attraverso le quali sperano di accrescere il prestigio delle poetiche nazionali. Mentre Einaudi adotta una strategia in qualche misura conservatrice, preferendo legare il proprio nome a un autore come Brecht, Feltrinelli punta all’ideale sodalizio tra nuove avanguardie italiana e tedesca, confidando nella forza trainante di quest’ultima e affermata compagine per accrescere il potenziale del nascente Gruppo ’63. All’interno del conflitto tra le due case Fortini, che ha appena finito di tradurre l’opera brechtiana per Einaudi, svolge un ruolo d’eccezione: gli è stata infatti commissionata da Feltrinelli la traduzione delle poesie di Enzensberger, membro del Gruppo ‘47 dal 1955 e pressoché ignoto al pubblico italiano. L’iniziativa editoriale promossa da Filippini prende tuttavia un corso particolare, di cui Michele Sisto traccia le coordinate:

Per un banale problema di scadenze non rispettate (e di temperamento) Fortini ha un diverbio col redattore incaricato Filippini: la conseguenza è che le poesie di Enzensberger vanno in stampa, nel marzo 1964, senza la prevista introduzione di Fortini, sostituita all’ultimo da interventi redazionali dello stesso Filippini. Il volume Poesie per chi non legge poesia risulta così un curioso ibrido: “brechtiano” nel testo, “avanguardista” nell’editing.2

A margine delle considerazioni sull’efficacia dei prelievi letterari stranieri nel modificare gli assetti del campo letterario nazionale, è interessante capire in che modo Fortini abbia cercato, con la sua traduzione, di brechtizzare Enzensberger, e quale tipo di filtro abbia scelto a sua volta il poeta tedesco nel volgere le liriche di Poesia e errore e Una volta per sempre.

I primi contatti tra i due autori hanno luogo nella primavera 1961. Enzensberger ha avuto modo di leggere la poesia di Fortini, sa che è lui il responsabile per la traduzione in italiano dei propri versi; a sua volta è intenzionato a farne conoscere il nome in Germania:

Egr. Signor Fortini

Il suo libro è posato sulla mia scrivania da qualche settimana, eppure non mi riesce ancora di dedicarmici. L’ho letto, questo è sicuro, con una certa cura: sufficiente cura e apprezzamento per proporre a Suhrkamp di pubblicarne la traduzione in tedesco (un’antologia). Ho tuttavia l’impressione di non riuscire a capirlo dall’interno, a scivolare come un guanto nei testi: soltanto allora potrei pensare a una loro traduzione (Lettera a Fortini del 3 marzo 1961).

Il carteggio Fortini-Enzensberger consta di una ventina di documenti: si tratta di una risorsa incompleta (Enzensberger non ha rilasciato tutte le lettere indirizzategli); costituisce tuttavia uno strumento importante per ricostruire le tappe non soltanto di un lavoro traduttivo, ma di un fecondo dialogo intellettuale.

Messo davanti a un simile prova, tradurre cioè i versi di Fortini, Enzensberger confessa di non padroneggiare a sufficienza l’italiano, di averne una conoscenza «übliche, mündliche, alltäglich, klassengebunden, ungenau»;3 Fortini, che può invece contare sull’aiuto di Ruth Leiser, fornisce sin dall’inizio al poeta una serie di indicazioni e criteri per l’accesso alla sua lirica. La sensazione di non comprendere «von Innen, wie ein Handschuh»4 i testi di Poesia e errore, viene chiarita da Enzensberger nella lettera del 7 maggio 1961:

Il registro piano e colloquiale dell’italiano non mi crea alcun problema: soltanto espressioni gergali, citazioni velate, allusioni di carattere letterario o concreto, double senses, ambiguità e dettagli formali (come rime nascoste) sarebbe meglio mi venissero chiarite. Ciò ridurrebbe sensibilmente la mole dell’impresa.

Il traduttore si preoccupa innanzitutto di non riuscire a cogliere i rimandi intertestuali dei versi fortiniani; ritiene di non sapersi muovere nella fitta trama di allusioni e riferimenti di cui è intessuta. Ma la poesia di Fortini, benché difficile, non è mai deliberatamente oscura: al traduttore occorrerà prestare attenzione soprattutto al contenuto che il componimento, attraverso scelte lessicali e sintattiche di un certo tipo, intende veicolare; bisognerà rinunciare, se necessario, a dare versione dei testi più intimi e pertanto meno traducibili. Sembra che Fortini abbia in proposito allegato una lista di preferenze: dalla risposta di Enzensberger, cui segue la lista delle poesie personali pensate per l’antologia italiana, si deducono in particolare le riserve di Fortini sulla possibile traduzione di alcune liriche, non meglio specificate. Se Enzensberger si dice sollevato di vedere esclusa dalla lista di Fortini l’intera prima sezione di Poesia e errore (contenente le poesie dal 1937 al 1940), si mostra tuttavia ostinato nel voler tradurre di Congedo, Qui libri e Weltgeschichtlich: inizialmente espunte da Fortini, verranno incluse nella raccolta, pubblicata nel 1963 per Suhrkamp. Nella nota in appendice alle poesie si legge:

Ecco che le poesie di Fortini suscitano presso di noi un interesse di prim’ordine, in quanto compongono un’autobiografia politica. Quello che qui nasce e si agita è la passione di un uomo coinvolto nel processo storico non solo come vittima passiva, ma anche capace di far corrispondere ad ogni tappa di quest’ultimo i gesti quotidiani, movente del suo dramma personale. Weltgeschichtlich – titolo ironico di un suo mordace epigramma – è forse tra le liriche più private di Fortini; lo è a tal punto che la separazione tra vita pubblica e privata, nel tentativo della falsa coscienza di salvarsi la pelle, viene infine a cadere.

Enzensberger ha sin da principio inteso di condividere con Fortini l’insegnamento morale e poetico di Brecht. Comune a entrambi è l’urgenza di sottoporre i linguaggi costruiti della politica e della società al vaglio demistificante della ragione, nella coscienza che anche «la letteratura sarà esaminata».5

Sarebbe di certo utile poterne discutere insieme una volta, anche dei molti sottintesi di questa poesia, i quali non riescono (purtroppo) a essere qui colti–eccetto forse Brecht, che può gettare un primo ponte.

Fortini riconosce la genealogia dei versi di Enzensberger e si propone di condurre la traduzione nel segno esplicito di quella brechtiana, della quale ha potuto nel frattempo verificare l’efficacia. Quanto si deduce dal carteggio non soltanto dà ragione dei criteri traduttivi seguiti in questa occasione; chiarisce anche, retrospettivamente, le disposizioni cui Fortini si è attenuto, allora senza precisarne i termini, negli anni passati:

Io procederò come per Brecht: parto da una traduzione letterale, poi arrivo ad una sistemazione intermedia e alla fine, quando ho bene in testa tutto quanto, termino. (Lettera a Enzensberger del 9 marzo 1961).

Come già con Barthes, è in Brecht che gli intellettuali possono fraternizzare: al poeta di Augsburg sembra si appellino tutti e due in corso di reciproca traduzione, di modo che, nello scegliere le poesie di Enzensberger, Fortini seleziona quelle in cui il debito verso la lirica brechtiana è più esplicito. Viceversa, Enzensberger sottolinea, nella Nota alla raccolta, di apprezzare in Fortini la carica politica ed engageant, di ritenere tuttavia centrale la dimensione individuale che con questa istanza confligge:

La costante messa sotto esame di se stesso e della società in cui vive non è priva di conseguenze per l’estetica dell’autore; anzi, ha implicato alcune rinunce. La chiarezza alla quale vuol tendere ha dovuto pagarla con una certa secchezza. I suoi versi hanno lasciato cadere l’aura, finendo per riuscire talvolta piuttosto aspri.

L’allestimento delle due antologie viene condotto nel segno di un vero e proprio sodalizio: i poeti non si scambiano soltanto opinioni e giudizi sul materiale inviato, pretesto semmai per riflessioni di respiro più ampio, dalla situazione cinese al mercato editoriale, ai progetti futuri. Enzensberger, che da poco ha fondato «Kursbuch», rivista di opposizione studentesca ed extraparlamentare, si confronta con Fortini sulle tendenze letterarie tedesche e italiane, soffermandosi volentieri su questioni storiche e formali. Sulla deriva versoliberista del XIX secolo ritorna più volte, convinto com’è dell’importanza da tributare, in corso di traduzione, al rispetto delle convenzioni ritmiche:

Le difficoltà della traduzione sono già definite con chiarezza nella sua lettera. Per quanto mi riguarda, la domanda cruciale è la seguente: in quale misura gli schemi ritmici dei suoi versi debbono essere rispettati nella traduzione? Questi schemi sono conseguenti e condotti bene sino al dettaglio. Ritengo che, nella poesia odierna, pochi possano competere con lei. La ragione è storica: più che nelle altre letterature la forma chiusa è caduta, per il tedesco,in un profondo discredito. Tra gli autori che oggi vivono e pubblicano non vi è nessuno che possa concepire, diciamo, una poesia in endecasillabi. Qualora si verifichi (ad esempio in Brecht) ciò risponde ad un esplicito cerimoniale di straniamento, essendo necessario scrivere contro metro e ritmo solo quando non si vuole che il verso funzioni. In altre parole, noi ci troviamo coinvolti ormai in un regime quasi anarchico di versoliberismo. Il piede non gioca più alcun ruolo nel verso, il cui fraseggio è scandito dal respiro, dall’intonazione e dai fonemi (allitterazioni, assonanze, rimandi vocalici); fenomeno che ha probabilmente meno a che vedere con Whitman che con la Bibbia. Non ho fatto che un accenno a queste differenze, ma sono da prendere sul serio: ne deriva che una traduzione sillaba per sillaba dei suoi versi mi sembra impossibile (Lettera a Fortini del 7 maggio 1961).

Fortini ha d’altronde chiara sin dalle primissime prove su Landessprache (seconda raccolta dell’autore, pubblicata nel 1960) la natura delle implicazioni discese, in Enzensberger come nei coetanei, dalla caduta in discredito delle forme chiuse. Il cambiamento più evidente, ed è fenomeno questo precipuamente tedesco, riguarda la morfologia del verbo: rispetto all’italiano, lingua flessibile e interessata soprattutto da stravolgimenti sintattici, il neologismo verbale conosce un vasto impiego in Germania, dove la rigidità strutturale del periodo impedisce ogni sviluppo alternativo della Satzbildung. Strategia di compensazione al crollo delle convenzioni formali, l’impiego dei composti risponde in effetti ad una ragione storica: a partire almeno da Paul Celan, per giungere sino a Ingeborg Bachmann ed Enzensberger, ai poeti non è più dato di ignorare l’infamia che marchia, dopo Auschwitz, la lingua tedesca. Quando scrive «Ich mit der deutschen Sprache | dieser Wolke um mich | die ich halte als Haus | treibe durch alle Sprachen»,6 Bachmann denuncia ad un tempo la filiazione e l’inappartenenza, la vergogna e l’emarginazione di cui avverte essere innervato il linguaggio poetico. La violenza con cui Celan aggredisce la propria Mutter – e insieme Mordersprache tende sì alla lacerazione, ma anche alla riconquista della parola, intesa come strumento di resistenza al silenzio dei carnefici. Entro un simile orizzonte, il neologismo vuole dunque allertare il lettore e ingaggiarlo in un processo utopico ed ermeneutico («Und–ja- | die Bälge der Feme-Poeten | lurchen und vespern und wispern und vipern, | episteln»).7 Con Landessprache, vi fa rifermento il titolo stesso, Enzensberger dà voce alla medesima contraddizione ed esaspera la tensione linguistica delle strutture tedesche, qui sottoposte a interminabili elenchi irrelati («E frugo in questo incompetente grappolo | di fermagli per cedole, di certificati | Di godimento, baffi di camoscio, svendite | per cessazione di commercio e non trovo | se non croniche e cronologiche aule ginnastiche | e funzionari esperti per l’umanità nelle caserme per le caserme per le caserme»). Dispiegandosi talvolta lungo l’intera poesia, il catalogo enumera, giustapponendoli, neologismi (v. 5 ungetrost; v. 10 Schlachtschlüssel, tradotti rispettivamente da Fortini con «ingenuamente» e «coppa di guerra») e prestiti colti (la stessa epigrafe latina «Volebat namque varium iracundum, iniustum, inconstantem…», tratta dalla Naturalis Historia di Plinio, inventario rovesciato delle doti belliche ateniesi), anacoluti (vv. 130-131 «was habe ich hier verloren? | Das habe ich hier verloren») ed espressioni magniloquenti, nell’oscillazione costante tra registro della tradizione letteraria e chiacchera quotidiana (i vv. 44-63 sono un’evidente parodia della Siebente Elegie rilkiana, dove «Hiersein ist herrlich… ihr, in den ärgsten | Gassen der Städte, Schwärende, oder dem Abfall | Offene. | …Sichtbar |wollen wirs heben, wo doch das sichtbarste Glück uns | erst zu erkenne sich giebt, wenn wir es innen verwandeln» diventa «Hiersein ist herrlich… | wo die Vergangenheit in den Müllschluckern schwelt… | goldricht liegen wir hier, | wo das Positive zum Höchstkurs notiert».8

Proprio da questa ipersaturazione della materia poetica Fortini, che ne ha colto l’implicita finalità, trae le premesse necessarie al lavoro di traduzione.

Mi pare di aver inteso – e ho già fatto degli ‘assaggi’ di traduzione sul primo testo di Landessprache – la natura delle concrezioni verbali, dei conglomerati verbali, che sono uno dei suoi fini poetici. Mi par d’aver capito che il suo traduttore debba soprattutto evitare una tendenza che in questi casi è quasisempre naturale, cioè di ridurre, per ottenere un facile effetto di fondu, l’ampiezza dell’angolo del lessico: mi pare (ma potrei sbagliarmi) che nei suoi versi quelle tensioni siano date dai contrasti fra i diversi piani linguistici (linguaggio colloquiale, tecnico, giornalistico usw.) ma che questi piani siano sincroni fra loro; che cioè solo eccezionalmente lei ricorra alla allusione linguistica al passato. Mentre invece la mia poesia giuoca su tensioni tra piani linguistici nel senso della diacronia; passeggia, insomma, su e giù per i secolidella lingua italiana, mantenendosi, come ‘area’ del presente, nel ‘decoro’ toscano. (Lettera a Enzensberger del 9 marzo 1961).

Colpito dalla lucidità e dalla precisione di Fortini, Enzensberger ricambia allegando alcune linee guida per la piena comprensione del timbro lirico che spera possa essere percepito anche nel testo italiano. Quando parla di sé e della propria opera, il poeta tedesco è altrettanto solerte:

Lei stesso ammette di non aver chiaro quale sia chiave del verso. Vorrei lasciarle in questo frangente completa libertà. Ciascun verso dipende dal tono (beffardo, felice, inquisitorio, collerico, affrettato, tagliente, tenero e cosìvia…) con cui andrebbe pronunciato. Ci sono molti più modi che espressioni per descriverlo: il principale (soprattutto nella seconda raccolta) mira a svelare gli antagonismi connaturati alla lingua e a costringere all’evidenza i diversi antagonismi (sociali e politici in particolare). Anche i doppi sensi sono una costante: l’argot della metropoli o il gergo della pubblicità, ad esempio, non sono mai usati a scopo illustrativo e vanno presi in parola; e questa parola rinvia frequentemente a qualcos’altro. Parente di questa tecnica è l’inserimento di clichés, modi di dire e via dicendo. Il concetto stesso di ‘patrimonio culturale’ ha da essere spinto all’assurdo dall’accostamento contraddittorio di vocaboli e intonazioni. Un ruolo particolare giocano le citazioni bibliche; Hölderlin, Wolfram von Eschenbach e altri intervengono occasionalmente. So perfettamente che il tutto rende la traduzione niente affatto semplice (Lettera a Fortini del 7 maggio 1961).

Risponde Fortini nella lettera del 6 luglio 1961:

Il problema della traduzione di quei versi miei che hanno misura tradizionale non è, lo so, cosa semplice. Da noi, la situazione metrica è assai diversa che da voi e si offrono tutte le possibilità, dall’impiego serio dei metri regolari, a quello allusivo-citazionistico a quello ironico. Anche il metro libero non è mai, in verità, tale (ho scritto due saggi su questo argomento) penso che sia possibile però tradurre in forma libera le mie forme chiuse, considerando il modo di mantenere una certa drammaticità interna, o per meglio dire, il passaggio dalla dizione ‘prosastica’ (il dimesso) al tono ‘retorico’, ‘insigne’, ‘aulico’ e viceversa. Tutto il mio lavoro è nel senso di questo doppio moto: per intendersi, il ladro di ciliege di Brecht e anche An die Nachgeboren.

I due poeti continuano così a consultarsi, inviandosi materiale provvisorio e definitivo, sempre accompagnato da commenti sulle sorti politiche nelle due Germanie, sulla situazione cinese, sull’industria culturale.

Nel settembre del 1964 esce per Feltrinelli Poesie per chi non legge poesia; Enzensberger può finalmente ribadire quanto affermato nella lettera del gennaio 1962:

La ringrazio per le ‘Cinque traduzioni da Enzensberger’ che mi ha inviato. Io la eleggo, caro Fortini, mio traduttore ideale: la sua accuratezza e la sua prudenza mi lasciano stupefatto.

Al dattiloscritto del 1962 Enzensberger ha allegato l’elenco delle liriche di Verteidigung der Wölfe e Landssprache da tradurre obbligatoriamente; accompagnano la lista tre testi inediti, spediti direttamente a Fortini e da lui acclusi all’antologia feltrinelliana. Come ha notato Irene Fantappiè per una di queste (Die Verschwundenen),9 si tratta di poesie molto diverse dalla produzione più nota e dissacrante che ha tanto affascinato Filippini e le neoavanguardie: si collocano piuttosto nel solco della lirica brechtiana sapienziale, della meditazione sull’esistenza e la condizione dell’Io nel confronto improrogabile con la Storia; temi che hanno naturalmente una vasta eco nella poesia di Fortini.

Tra gli inediti è Zweifel, componimento fra i più lunghi della raccolta, a risultare particolarmente interessante. Se Brecht è certo il primo riferimento cui bisogna pensare, è innegabile che con le poesie di Una volta per sempre, fra tutte con Traducendo Brecht, abbia in comune l’asciuttezza del lessico e la percussività dei versi, scanditi dal periodare semplice e mossi dalle frequentissime interrogative retoriche:

Ich höre aufmerksam meinen Feinden zu.
wer sind meine Feinde?
Die Schwarzen nennen mich Weiß,
die Weißen nennen mich Schwarz.
Das höre ich gern. Es könnte bedeuten:
ich bin auf dem richtigen Weg.
(Gibt es einen richtigen Weg?)
Ascolto attentamente i miei nemici.
Chi sono i miei nemici?
I neri mi chiamano bianco.
I bianchi mi chiamano nero.
Mi fa piacere. Potrebbe voler dire
Sono sulla via giusta
(ma esiste una via giusta?)
Mentre la celebre Lob des Zweifels brechtiana è un appello al rinnovamento, alla perplessità come strumento rivoluzionario («Certo, non lodate però | quel dubbio che è disperazione! Che giova poter dubitare, a colui |che non riesce a decidersi!»),10 l’incertezza di cui è preda Enzensberger inclina a un più aperto pessimismo («Intanto mi domando: | c’è sempre tempo domani? | È una bara, questo letto? |Ho ragione o no? | È permesso dubitare anche dei dubbi?»).11 Eppure, accarezzato e subito respinto l’invito all’oblio, la persistenza del dubbio rimane l’unico possesso cui aderire, «vincitori perduti o perduti perdenti», con cieca fiducia; Fortini è altrettanto consapevole di non potervi rinunciare già nel 1946, quando scrive La gioia avvenire («O l’indecisione fissando senza vedere | Qualcosa comunque che non possiamo perdere | Anche se ogni altra cosa è perduta | E che perpetuamente celebreremo | Perché ogni cosa nasce da quella soltanto»).12

L’affinità tra questo Enzensberger e Fortini trova però la sua conferma più manifesta in Traducendo Brecht, naturalmente inclusa fra le poesie da volgere in tedesco; un simile titolo non può che catturare l’attenzione di Enzensberger, rimasto profondamente colpito dalla tenacia con cui il poeta, imperdonabile, assume in primo luogo su di sé le offese e le contraddizioni della poesia:

Del ventesimo congresso del PCUS, il novembre di Budapest, ciascuna delle innumerevoli crisi della guerra fredda toccano questo autore in un modo a noi sconosciuto o dimenticato: non astratto, riferito a un generico qualcosa, ma come una questione di famiglia. Di qui anche la riflessione spietata e pervicace e sul significato dell’esistenza, sull’irrisolvibile contraddizione tra un’esistenza ‘civile’ nella nuova società capitalistica, come suo nemico e utente allo stesso tempo, e sui progetti del socialismo cui Fortini è partecipe. (Prefazione di Enzensberger alle poesie di Fortini, Suhrkamp, Francoforte 1963).

Il rifiuto dell’idillio è portato avanti nel segno di una lotta mentale, ingaggiata da entrambi i poeti di fronte agli «uomini e le donne che con te si accompagnano | e credono di non sapere».13 Contro il brulicare indaffarato degli specialisti che si adoperano per il progresso e mascherano di cortesia la propria indiscriminata colpevolezza («Gli oppressi | sono oppressi e tranquilli, gli oppressori tranquilli | parlano nei telefoni, l’odio è cortese», ivi), è condotto un impietoso esercizio del sospetto:

Ich sage: fast Alles, was ich sehe,
könnte anders sein. aber um welchen Preis?
die Spuren des Fortschritts sind blutig.
Sind es die Spuren des Fortschritts?
meine Wünsche sind einfach.
Einfach unerfüllbar?
Ja, sagen meine Feinde.
Die Sekretärinnen sind am Leben.
Die Müllkutscher wissen von nichts.
Die Forscher gehen ihren Forschungen nach.
Die Esser essen. Gut so.
Dico io: quasi tutto quel che vedo
potrebb’esser diverso. Ma a che prezzo?
Sono di sangue le orme del progresso.
Sono essi le orme del progresso?
Semplici i miei desideri.
Semplicemente irrealizzabili?
Si, i miei amici dicono.
Le segretarie sono in vita.
Gli addetti alla nettezza urbana ignorano.
Gli studiosi continuano gli studi.
Bene. I mangiatori mangiano.
Benché coltivato con un certo compiacimento, il senso di inappartenenza si accompagna, in Enzensberger come in Fortini, all’avvertimento di un’impostura che coinvolge in primis il poeta e lo costringe a confutare la legittimità delle proprie posizioni intellettuali e umane («Giustamente non m’hanno riconosciuto. | […] Com’è chi per se vuole più verità | per essere agli altri più vero e perché gli altri | siano lui stesso, così sono vissuto e muoio», Il comunismo).14

Lei conosce certo quel nostro trecentista che così scrive in un sonetto: e piacermi veder colpo di spada / altrui nel viso e nave andare a fondo / e piacerebbemi un Neron secondo / e ch’ogni bella donna fosse la(i)da //. E tutti quelli ammazzar ch’io ammazzo / nel fier pensier”. Beh è Cino da Pisoia, Cinus Pistoiensis, di cui Rilke ha splendidamente tradotto un sonetto. Ho voluto ricordarglielo perché sono mesi che odio così forte, da passare i muri peggio della bomba al cobalto. Abends ist meine Leber schwer wie ein Feldstein. Es wird ein anderer Krieg sein. (Lettera a Enzensberger del 10 dicembre 1961)

«Pesa la sera il mio fegato come una pietra. | Ci sarà un’altra guerra». Così i versi di Lebenslauf di Enzensberger, trascritti da Fortini come congedo alla lettera del 10 dicembre 1961, un lungo e importante dattiloscritto che raccoglie «una specie di commento grossolano alle prime 134 pagine di Poesia e errore». Alcune delle notazioni qui contenute, in particolare le più minuziose e distese, si rivelano di grande interesse per la lettura della lirica fortiniana: il poeta indugia volentieri sugli espedienti metrici ricorrenti, scioglie le espressioni più allusive, chiarisce le occasioni biografiche cui i testi direttamente rimandano. La tendenza all’autocommento della propria poesia è consuetudine tarda negli autori italiani, che non di rado ricorrono, a partire dagli anni Settanta (si pensi allo Zanzotto del Galateo in bosco), a note esegetiche e illustrative, dall’attendibilità incerta (lo stesso Fortini smaschera le false piste tracciate dall’autocommento di Montale a La speranza di pure rivederti);15 Fortini si abbandona di rado a questo compiacimento e preferisce, quando ha da chiarire dei nessi difficili, rimandare a note scarne e puntuali. La parafrasi mot à mots della raccolta del 1959 è perciò un sussidio prezioso e inconsueto all’interpretazione di una stagione poetica di transizione, momento in cui vedono la luce «poesie come La gronda, Il mulino della foresta nera, A Cesano Maderno, che sono penso molto diverse dalle precedenti» (Lettera a Enzensberger del 10 dicembre 1961). Se nella seconda edizione di Poesia e errore (1969) le nota esplicativa a Camposanto degli inglesi recita, ad esempio «In piazza Donatello, a Firenze», meno parco è il commento allestito per Enzensberger:

Camposanto degli inglesi: questa romanza pateticissima, sentimentalissima e dolcissima è un esercizio non ironico però su un tema molto arduo. E se la si capisce bene si capisce che non è una romanza. È una delle poesie che ha avuto più successo, è in diverse antologie ecc. ecc. veda un po’ lei se le riesce. I primi sei versi sono tutti rotti! Il 1° è un endecasillabo con accento sulla 7° il secondo endecasillabo normale, il terzo è ipermetro, il 4° ancoraendecasillabo, il 5° ancora ipermetro, il 6° di nuovo endecasillabo. Ne viene una respirazione tutta spezzata. Il camposanto degli inglesi è un piccolo cimitero che fa da sparti traffico in un viale di Firenze, celebre nelle guide, non solo perché ci sono alcuni famosi morti (fra cui la Elisabetta Barnett-Browning) ma (non rida!) Perché Böcklin se ne ispirò per quel quadretto jettatorio che si trova a Basilea e che è L’isola dei morti. Noti bene che questo gusto monacense, da dare il vomito, come ingrediente c’è anche nella mia poesia, qui. Coraggio. Secondo me se questa poesia vale qualcosa è proprio per questa risoluta assunzione della banalità e del pathos, soprattutto nella salita-con-il-pianto-in-gola degli ultimi sei versi della penultima strofe, sottolineata da certi aggettivi, come insostenibile e la cadenza assolutamente non lirica dell’’ultimo verso con quell’aggettivo alla Sully Proudhomme: malinconici. (H.M. Enzensberger, lettera a Fortini del 3 marzo 1961, trad. cur.)

La corrispondenza Enzensberger-Fortini si interrompe nell’autunno 1966: dal carteggio, lacunoso in questa sua ultima sezione, è possibile supporre sia stato un diverbio tra i due a sancirne la fine. Enzensberger avrebbe pubblicato su «Kursbuch» una nota polemica di Klaus Völker alla controversia Brecht-Lukács senza informare Fortini, cui il gesto sembra difendere interessi editoriali e non già una verità letteraria. Il rimprovero giunge severo e perentorio (Fortini dichiarandosi ostile ad ogni forma di proselitismo) e vale a troncare il dialogo fra i due intellettuali i cui rapporti saranno, d’ora in avanti, assai più occasionali:

Avevo creduto che in lei, il superamento del volgarprogressismo per unavisione più approfondita del conflitto mondiale avrebbe potuto dire la fine di quel linguaggio, tanto diffuso fra i pubblicisti delle neoavanguardie, che tratta le barricate di carta come barricate vere e vuol far credere o quasi che lo strutturalismo sia un episodio della guerra di classe. Mi ero sbagliato e me ne spiace.Lei sa quanto la ami e la stimi: ma non esiterei a separarmi dal ei, come ho fatto con Barthes, quando dovessi essere persuaso che lei vuol passare, oggettivamente, dalla parte di quelli che considero i più correnti strumenti dell’imperialismo e del revisionismo. Non lo credo affatto, beninteso. E per questo mi abbia suo.

Franco Fortini
(Lettera a Enzensberger del 10 ottobre 1966)

Note

1 Il carteggio Fortini – Enzensberger è conservato presso l’Archivio del Centro Studi Franco Fortini di Siena: si compone di ventidue lettere, diciassette delle quali firmate da Enzensberger (quattordici dattiloscritte, tre manoscritte), cinque da Fortini (tutte dattiloscritte). Le lettere di Fortini sono in italiano, quelle di Enzensberger in tedesco e francese. La traduzione dei brani qui riportati è a cura dell’autore.

2 M. Sisto, Mutamenti nel campo letterario italiano 1956-1968: Feltrinelli, Einaudi e la letteratura tedesca contemporanea, su «Allegoria» 55, 2007, pp. 86-109. Un’analisi approfondita delle interferenze fra campi letterari italiano e tedesco nel secondo dopoguerra italiano si trova nel volume Letteratura italiana e tedesca 1945-70: Campi, polisistemi, transfert, Istituto Italiano di studi germanici, 2013 e particolarmente A. Boschetti, Sul campo letterario italiano e il suo contesto internazionale (1945-1970), pp. 59-76.

3 H.M. Enzensberger, lettera 3 marzo 1961, trad. cur. : «Conoscenza scolastica, quotidiana, insufficiente».

4 Ivi, trad. cur.: «dall’interno, come un guanto».

5 B. Brecht, La letteratura sarà esaminata, trad. italiana di F. Fortini in B. Brecht, Poesie e canzoni, Torino, Einaudi, 1959, p. 320.

6 I. Bachmann, Exil in trad. it. di L. Reitani «Io, con la lingua tedesca | di questa nube che mi circonda | e che è la mia casa, | mi aggiro tra tutti gli idiomi», Milano, SE, 2002, pp. 121-124.

7 P . Celan, Huhediblu, in Die Niemandsrose, trad. it. di G. Bevilacqua «E- sì- | le carcasse dei poeti della Santa Veme | rospeggiano e vipereggiano, vespreggiano e bisbigliano, | epistoleggiano», Milano, Mondadori 1997, p. 473.

8 Così nella traduzione di Fortini: «Ottimo è qui vivere | dove il passato fumiga dagli scarichi delle immondizie | … Noi qui perfetti ben messi | dove il positivo ha quotazioni massime» (H. M.Enzensberger, Poesie per chi non legge poesia, Milano, Feltrinelli 1964, p. 54). Per la traduzione della settima elegia cfr. R.M. Rilke Elegie Duinesi, trad it di M.G. Mazzot, Torini, Einaudi Gallimard, 1955: «Essere qui è magnifico… | voi nei pestilenti | vicoli delle città, voi suppuranti e aperte al degrado | … In alto, visibile, | vogliamo innalzarlo, mentre la felicità più visibile | ci si rivela soltanto se dentro la trasformiamo».

9 I. Fantappiè, Cinque tesi sulla traduzione in Fortini. Sélection e Marquage in «Il ladro di ciliege», in Letteratura italiana e tedesca 1945-70: Campi, polisistemi, transfert, cit., p. 154.

10 B. Brecht, Lode del dubbio, trad. it di F. Fortini, in B. Brecht, Poesie e canzoni, cit., p. 119. Testo originale: «Freilich, wenn ihr den Zweifel lobt So lobt nicht | Das Zweifeln, das ein | Verzweifeln ist! | Was hilft Zweifeln können dem | Der nicht sich entschließen kann!».

11 H.M. Enzensberger, Poesie per chi non legge poesia, trad. a cura di F. Fortini e Ruth Leiser, Torino, Feltrinelli 1964, pp. 122-125.

12 F. Fortini, La gioia avvenire, in Id, Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 2014, p. 61.

13 F. Fortini, Traducendo Brecht, ivi, p. 238.

14 F. Fortini, Il comunismo, ivi, p. 251.

15 F. Fortini, La volpe e gli sciacalli, in Id, Saggi ed epigrammi, Milano, Mondadori 2003, pp. 617-628.