
Carlo Michelstaedter, Epistolario
Difatti, la fama della tesi di laurea ha per molto tempo oscurato l’attività poetica del giovane Michelstaedter, complice la travagliata storia editoriale delle poesie. Se infatti la prima pubblicazione di queste avvenne nel 1912, grazie al devoto lavoro di ricostruzione di Arangio-Ruiz per l’editore Formiggini,3 è vero anche che il volume si presentava mutilo delle poesie della maturità (I figli del mare, A Senia, All’Isonzo), ancora di proprietà della signorina Cassini, edite solo nel 1948 nell’edizione milanese della Garzanti, sempre a cura di Arangio-Ruiz. Dieci anni più tardi, nel 1958, viene licenziata a Firenze l’edizione sansoniana curata da Gaetano Chiavacci Opere, che accorpava in un unico volume l’Epistolario, gli Scritti vari, La Persuasione e la Rettorica, le Appendici critiche, i dialoghi e le poesie, presentando, quindi, a quarantotto anni dalla morte, Michelstaedter come un genio poliedrico e plurilingue. Prendendo in considerazione la ricostruzione editoriale, Carlo Michelstaedter (1887-1910) sembra infatti aver inciso il panorama filosofico già dai primi anni della sua prematura Selbsmord, con la famosa tesi mai consegnata: La Persuasione e la Rettorica. A partire dalla formula di «suicidio filosofico» dell’articolo di Papini (cui pure i testi erano sconosciuti) ne «il Resto del Carlino» del 5 novembre, a neanche un mese dalla morte del giovane, si apre il primo frammento di discorso critico sulla figura filosofica di Michelstaedter all’interno del panorama idealista e storicista italiano, perpetuandosi maggiormente in quello esistenzialista, che avrebbe condizionato a lungo − complice la difficoltà di studio degli autografi in versi − l’essenza artistica dell’autore.
Fin dai primi lavori compiuti dai suoi compagni di studio e amici (Chiavacci, Arangio-Ruiz, Mreule), nonché dalla fedele sorella Paula, la questione dei manoscritti si presentò in effetti difficilmente aggirabile, dal momento che «si pongono alcuni rilevanti problemi pratici e metodologici: le carte sono, nella maggior parte dei casi, abbozzi lontani dalla stesura definitiva».4 Risulta ostica inoltre la sistemazione del piano linguistico-espressivo e quello grammaticale interpuntivo, da cui più emerge il bilinguismo dell’autore. La scelta dei testi di Campailla per la seconda edizione non si allontana dal tentativo comune ad altri critici di voler proporre una silloge ideale in cui vengano raccolti esercizi metrici, versi d’occasione e appunti a margine in stile poetico; d’altra parte il critico intende presentare una testimonianza storiografica e poetica che, dal punto di vista stilistico, illumini un progressivo miglioramento e inspessimento teorico, culminando nella presentazione di una figura che possa raccordarsi organicamente all’autore dei dialoghi e della originale prosa della più nota La Persuasione e la Rettorica,5 nonché alle tendenze espressionistiche degli appunti. Sebbene la prima raccolta adelphiana del 1987 proponga il lungo lavoro sugli inediti6 apparso nel 1974 dopo una puntuale ricostruzione, non vengono inclusi nella nuova edizione qui presentata i ritrovamenti di Gallarotti,7 De Michelis8 e Cappozzo.9 L’intenzione del critico non si discosta, quindi, per criteri di selezione, da quella della prima edizione dell’87, giustificando così il mantenimento della medesima introduzione alla raccolta Il Terzo Regno e ribadendo perciò la chiara immagine di una presenza «sotto il segno dell’ inclassificabilità»,10 «un avvincente problema culturale privato e collettivo, storia e parabola» in cui «nel costruirsi complesso della simbologia marina michelstaedteriana si esprime – liberandosi in poesia – una condizione storica più generale: la dolorosa condizione dell’ebreo, esiliato ed errante, escluso ed inassimilabile».11
È la Storia stessa che giustifica la scelta filologica e curatoriale di Sergio Campailla; e che invade materialmente la vicenda individuale di Carlo Michelstaedter, la quale pure, a sua volta, è elemento invasivo e perturbante nel campo letterario del Novecento. In un articolo sull’«Espresso» del 1° marzo 2017 intitolato Carlo Michelstaedter, l’infanzia di un genio lo stesso Campailla presentava al pubblico gli esemplari inediti degli esperimenti giovanili. Nell’articolo viene raccontata la vicenda storica dei manoscritti che, nell’edizione adelphiana del 2021, è riportata nelle prime pagine delle Note precedenti al commento, aggiunto per i nuovi testi e identico per quelli già presenti nella precedente edizione. È noto che i membri della famiglia Michelstaedter dovettero affrontare le leggi razziali antisemite e che la sorella maggiore e la madre del giovane furono deportate ad Auschwitz, senza farne più ritorno. La più grande delle sorelle, Elda, fece in tempo a timbrare e a nascondere in alcune casse le carte del fratello Carlo e del padre Alberto, quindi a distribuirle tra varie famiglie conoscenti in modo da evitarne la confisca della Gestapo nel 1943.12 L’unica a salvarsi, perché sposata con lo svizzero Fritz Winteler, fu la più piccola e più devota confidente di Michelstaedter, la sorella Paula, che poté rientrare in Italia solo nel 1946, scoprendo che le carte del fratello erano state salvate dalla vicina di pianerottolo Maria Benedetti assieme all’omonima figlia, Maria. Per gratitudine, Paula copiò di suo pugno un’antologia degli scritti del fratello in due quaderni e ne fece dono alla benefattrice. Nel 1974, grazie al lavoro editoriale che metodicamente Campailla stava compiendo, durante la presentazione a Gorizia della prima biografia di Michelstaedter Ai ferri corti con la vita13 si presentò allo studioso l’omonima figlia di Maria Benedetti, la quale consegnò al critico in formato fotocopia i vari materiali donati da Paula alla madre. Allo stesso modo, nel 2010 − in occasione della mostra Far di se stesso fiamma, sempre a Gorizia − Campailla venne contattato dalla nipote Anna Benedetti, che aggiunse ai materiali in copia originale anche le lettere inedite della sorella Paula, che ricostruiscono tutta questa vicenda. È proprio in questi quaderni che si trovano le liriche adolescenziali − non autografe né nel reale ordine di stesura − del giovane poeta che qui sono oggetto di puntuale riorganizzazione cronologica.
In questo senso, è da intendere anche la stessa scelta di illustrare la crescita progressiva da parte del curatore. L’io poetico michelstaedteriano emerge difficoltosamente, e in tal modo convive con le altre irriducibili passioni dell’autore: artistica, critica e filosofica. Ancora, in ciò si rispecchia il complesso rapporto con il panorama culturale a lui contemporaneo, ma ancor più con quello presente: estrarre Michelstaedter dalla cornice del tempo che lo accoglie richiede, oggi come allora, una interpretazione e, allo stesso tempo, non sembra possibile prescindere da una ricostruzione basata sulla sua singolarissima specificità. La sofferta emersione di una individualità si può leggere allora come la prova della posizione critica del consistere tragico, da cui osservare una più ampia disposizione delle forme dell’arte e del giudizio, così come la vita privata dell’uomo e il suo rapporto con la Storia.14
1 S. Campailla, Scrittori giuliani, Bologna, Pàtron Editore, 1980: «Postille leopardiane di Michelstaedter», pp. 51-64; «Michelstaedter lettore di Ibsen», pp. 65-92.
2 C. Michelstaedter, Poesie, Milano, Adelphi, 2021, p. 127.
3 C. Michelstadter, Dialogo della salute. Poesie, a cura di V. Arangio-Ruiz, Genova, A.F. Formiggini, 1912.
4 V. Cappozzo, Storia e Storiografia di Carlo Michelstaedter, Oxford (MS), The University of Mississippi Press, 2017, p. 92. Per una più approfondita ricostruzione editoriale del percorso poetico di Michelstaedter, si rimanda all’intero capitolo «Il percorso editoriale delle poesie di Carlo Michelstaedter», pp. 91- 122.
5 S. Campailla, Note, in C. Michelstaedter, Poesie cit., p. 124: «Rimangono fuori da questa edizione abbozzi goliardici, estranei a una continuità accreditata e riconoscibile, e frammenti vari, tra cui la documentazione offerta in anni recenti dall’Archivio Cassini».
6 S. Campailla, Carlo Michelstaedter. Poesie con disegni inediti, Bologna, Pàtron, 1974.
7 A. Gallarotti, Uno sciopero studentesco nel 1904, in «Studi Goriziani», 75, 1992, pp. 103-124: p.122.
8 A. de Michelis, Sfugge la vita. Taccuini e Appunti, Torino, Nino Aragno Editore, 2004.
9 V. Cappozzo, Il percorso editoriale di Carlo Michelstaedter con due inediti del 1903, in Carlo Michelstaedter. Kunst – Poesie – Philosophie, hrsg.Y. Hütter, Tübingen, Narr Verlag, 2014, pp. 35-37.
10 S. Campailla, Introduzione, in C. Michelstaedter, Poesie cit., p. 11.
11 Ivi, p. 25.
12 Per una più approfondita ricostruzione storica, si rimanda alla raccolta di interventi La cassa dei libri. La famiglia Michelstaedter e la Shoa. Atti del convegno di Roma del 2018, a cura di M. Menato e S. Volpato, Crocetta del Montello, Antiga Edizioni, 2019.
13 S. Campailla, Ai ferri corti con la vita, biografia ad introduzione della mostra antologica Testimonianza per Carlo Michelstaedter, Gorizia, Comune di Gorizia, 1974, poi Id., Ai ferri corti con la vita, Gorizia, Arti Grafiche Campestrini, 1981; si rimanda alla più aggiornata biografia, sempre a cura di Sergio Campailla, Un’eterna giovinezza. Vita e mito di Carlo Michelstaedter, Venezia, Marsilio Editore, 2019.
14 Il primo a notare una delle più suggestione consonanze fu Franco Fortini, in Lukács il giovane, in Id., Saggi ed epigrammi, a cura di L. Lenzini, Milano, Mondadori, 2003, v. nota a pp. 269: «Carlo Michelstaedter, di due anni più giovane di Lukács e come lui cittadino dell’Impero austro-ungarico, veniva elaborando, studente a Firenze, la sua opera filosofica dove opponeva «persuasione» a «rettorica» ed il consistere (mènein) dell’eroe nell’essenza alla fatuità dell’inessenziale quotidiano. Michelstaedter si uccideva nella sua città di Gorizia il 17 ottobre 1910, nel mese in cui da Firenze Lukács scriveva quella «lettera a Leo Popper sulla Essenza e forma del saggio» che apre L’anima e le forme e contiene un implicito tentativo di superare l’identità tragica di morte e di vita (che era nel pensiero di Michelstaedter, a lui certo sconosciuto)».