Il mio lavoro editoriale sui libri di Luigi Pintor
Didi Magnaldi

Quando il plico contenente il dattiloscritto di Servabo arrivò in casa editrice, Giulio Bollati me lo affidò perché ne curassi le varie fasi richieste dalla pubblicazione. Il testo era di poche pagine e rischiava di risultare troppo esile come libro. L’editore pensò allora di ridurre il formato della collana «Varianti» cui era destinato, dando così vita alle «Variantine», inaugurate proprio da Servabo. Sempre per dargli maggiore consistenza, in accordo con Pintor, che fin da subito mostrava idee chiarissime sulla struttura del libro, i titoli dei capitoli diventarono occhielli in pagina a sé, quasi avessero “finalità ritmiche” o fossero “didascalie del cinema muto”, come suggerì l’autore.

Non appena cominciai a leggere il dattiloscritto, ebbi conferma della precisione della scrittura e della limpidezza dello stile di Pintor e capii che il mio lavoro sarebbe stato “leggero”. Mi limitai infatti alla correzione dei refusi, a piccole modifiche della punteggiatura, all’evidenziazione di alcune ripetizioni: proposte che Pintor prese sempre in considerazione mostrandomi gratitudine. In questa prima collaborazione – e la cosa si sarebbe ripetuta anche nel corso del mio lavoro sugli altri tre suoi libri – mi colpirono il suo sforzo di evitare il linguaggio banale e meccanico e la sua ricerca costante della parola esatta. Ogni tanto al telefono chiedeva la mia interpretazione di un termine (perlopiù aggettivi o verbi) da lui usato e se la mia risposta non corrispondeva a quello che lui intendeva esprimere lo cambiava, addossandomi così una grande responsabilità.

I libri di Pintor contengono molto di “non detto”, o piuttosto lasciato all’interpretazione del lettore, come peraltro si legge nella citazione di Voltaire da lui scelta come esergo di Servabo: «I libri più utili sono quelli dove i lettori fanno essi stessi metà del lavoro: penetrano i pensieri che vengono presentati loro in germe, correggono ciò che appare loro difettoso, rafforzano con le proprie riflessioni ciò che appare loro debole». Di fronte a passi che a me sembravano troppo criptici, chiedevo a Luigi di chiarire meglio, ma su questo non ho quasi mai ottenuto risultati positivi. Lui talvolta mi spiegava quali fossero i fatti o le persone a cui si riferiva, ma il testo non cambiava. Le sue risposte (che io appuntavo) mi sono state utili anni dopo, quando un gruppo di lettori di Firenze, guidati da un avvocato, si rivolsero in casa editrice per avere delucidazione su punti oscuri. Purtroppo non sempre riuscii a soddisfare la loro curiosità. D’altra parte in una lettera da San Candido del 23 luglio 1998 Pintor mi scriveva: «Ecco la versione definitiva e corretta (forse con qualche imperfezione) della Signora Kirchgessner. So che questo titolo ha suscitato qualche perplessità ma è incomprensibile con intenzione (come il libro)». Più che di oscurità penso si trattasse di pudore nello scrivere di argomenti dolorosissimi della sua vita.

La sua aspirazione a una scrittura essenziale lo induceva a eliminare aggettivi, ad asciugare il testo fino all’ultimo giro di bozze, preoccupandosi tuttavia di non creare troppi problemi all’impaginazione.

Aveva grande interesse per ogni fase della lavorazione del libro e quindi interveniva anche sull’immagine di copertina (quella del Nespolo che avevo scelto io gli piacque molto), sul risvolto e sullo slogan della quarta. Seguiva con attenzione persino l’andamento delle vendite nelle prime settimane dall’uscita e, soprattutto nel caso di Servabo, non mancò di sollecitarci ripetute volte a verificare che il libro fosse in evidenza vicino alle casse delle librerie.

Ripenso con tanta tristezza all’ultima telefonata che feci a Luigi, ricoverato in clinica, per concordare le correzioni finali ai Luoghi del delitto, poco prima della stampa. Nonostante fosse gravemente malato aveva riletto il libro e, come sempre, aveva deciso di cambiare qualche parola, di toglierne qualcun’altra. Purtroppo non vide il libro stampato.

[uscito il 18 settembre 2925 nel supplemento del «manifesto» essenzialmente Pintor]