Ricordo di Goffredo Fofi, protagonista e testimone dell’altra Italia
Giuseppe Muraca

Goffredo Fofi a Parigi, ottobre 1965 (foto di Ferruccio Malandrini)

Io alla lotta di classe ancora ci credo, perché senza la lotta di classe non c’è movimento nella storia.

Si sveglino anche i «vecchi», non solo i «giovani», ché l’epoca è tremenda e c’è bisogno di tutte le donne e di tutti gli uomini «di buona volontà», disgustati da questa pessima e forse ultima stagione della Storia, «lo scandalo che dura da diecimila anni» e ci accosta oggi all’estremo limite dei suoi orrori.

Ho conosciuto Goffredo Fofi a maggio del 1974, alla Mensa dei bambini proletari di Napoli, di cui lui era uno dei factotum. Mi ci portò un giovane compagno di Lotta continua, in cui anch’io militavo. La mia prima impressione non fu molto positiva, perché mi diede l’idea di essere un tipo assai burbero. Da un paio d’anni leggevo «quaderni piacentini» e «Ombre rosse», e quindi già sapevo chi fosse. Quel giorno Fofi era molto indaffarato e mi chiese solamente da dove provenivo e che cosa ci facevo a Napoli. Alla mia risposta esclamò: «ah, bene, abbiamo un calabrese fra noi!» E subito interruppe la conversazione e riprese a fare il suo lavoro, cioè lavare una montagna di piatti e di pentole. La cosa mi sorprese e dopo un po’ me ne andai. Ritornai da solo dopo una settimana, ma anche quella volta Fofi non mi dedicò molta attenzione e così alla Mensa non ci andai più, anche perché dopo alcuni mesi abbandonai Lotta continua. Io già lo consideravo un maestro e col tempo mi pentii di non aver saputo approfittare di quella opportunità e continuai a seguire la sua attività politica e culturale e a leggere i suoi articoli e i suoi libri. Quando nel 1988 uscì Pasqua di maggio, ne fui colpito positivamente e recensii il libro. I «quaderni piacentini» e «Ombre rosse» avevano da tempo interrotto le pubblicazioni e lui da qualche anno stava facendo un’altra importante rivista, e cioè «Linea d’ombra», con cui cercava di andare oltre il marxismo rivoluzionario degli anni in cui aveva aderito alla Nuova sinistra e di trovare nuove strade di carattere teorico e politico. Aveva abbandonato Napoli e si era trasferito a Milano dove collaborava con la Feltrinelli e altre case editrici. Ci rivedemmo a giugno del 1993, in occasione della presentazione del suo bel diario giovanile Strana gente, pubblicato dalla nuova casa editrice del calabrese Carmine Donzelli. Fofi non si ricordava più di me, ma dopo che io intervenni alla discussione ci fermammo a parlare per diversi minuti. In seguito ci siamo incontrati in diverse occasioni: l’ultimo incontro è avvenuto sei anni fa presso la sede di Lamezia della cooperativa Progetto Sud, fondata, come è noto, dal suo amico Don Giacomo Panizza, dove stava trascorrendo una vacanza, come faceva spesso d’estate o quando veniva in Calabria per partecipare a qualche iniziativa. Due giorni prima ci eravamo rivisti a Soverato dove avevamo partecipato al Festival dei pensieri e delle pratiche educative, organizzato dall’Università “Don Giorgio Pratesi” e dal Comune di Soverato. Io avevo da poco pubblicato con Ombre corte il mio libro Piergiorgio Bellocchio e i suoi amici, in cui c’era anche lui. Chiacchierammo a lungo per tutta la mattinata e prima del pranzo invitò me e mia figlia Mariateresa, allora docente a contratto di Pedagogia generale all’Università di Verona, ad andarlo a trovare a Lamezia. Il colloquio durò quasi tre ore: Fofi si mise subito a nostra disposizione e fece diverse telefonate per mettere in contatto mia figlia con altri docenti suoi amici e con vari gruppi di ricerca e di intervento, e alla fine la invitò a collaborare alla sua rivista «Gli asini». In seguito non ci furono altre occasioni di incontro, ma ci siamo sentiti varie volte al telefono. L’ultima telefonata è di circa quattro mesi fa, in seguito alla pubblicazione del mio libro Protagonisti e testimoni dell’altra Italia (Pendragon, Bologna 2024), in cui ho incluso un capitolo a lui dedicato. Non sapevo nulla del suo recente incidente, e quindi la sua scomparsa mi ha colto di sorpresa e addolorato.

È difficile trovare una formula per definire con precisione una figura come quella di Goffredo Fofi perché egli è stato tante cose insieme: innanzitutto un educatore, poi un critico cinematografico, letterario e teatrale, un creatore e un direttore di importanti riviste, un redattore e collaboratore di grandi e piccole Case editrici, un organizzatore culturale, un editore, un traduttore, uno sceneggiatore cinematografico, uno scopritore di talenti e si è interessato persino di fumetti. Ma è stato innanzitutto uno dei più importanti intellettuali italiani degli ultimi settant’anni; un intellettuale disorganico, anticonformista, antiaccademico ed eretico, che nel corso della sua intensa attività intellettuale e politica si è schierato dalla parte degli ultimi e dei “senza storia”, in netta opposizione al sistema e alla sinistra ufficiale, lottando per cambiare la società.

Era un tipo instancabile, come ha detto Piergiorgio Bellocchio, dotato di «energie superiori», nel senso che è stato un infaticabile «tessitore di ragnatele» (come ha scritto Cesare Cases di Raniero Panzieri), di amicizie, di iniziative, di progetti… Non aveva la patente e girava l’Italia in treno e la cosa che suscita meraviglia è che nel corso della sua vita ha avuto rapporti con una moltitudine di persone, con tantissimi scrittori, editori, attori, registi, pedagogisti, pensatori, operatori sociali e culturali, istituzioni e associazioni di base sparsi nelle diverse realtà italiane e in altri paesi, la Francia in particolare.

Nel corso della sua intensa attività ha fatto e ha scritto moltissimo, in vari campi; ha pubblicato migliaia di articoli, recensioni, prefazioni… e molti libri, tra cui alcuni importanti per capire l’Italia di ieri e di oggi e che invitano a pensare e a riflettere. Ma non fu solo un teorico o un pensatore, fu anche un uomo di azione libero e caparbio, un agitatore politico e culturale che ha legato sempre la teoria alla prassi sulla base di un pensiero attivo, libertario e antidogmatico. E anche se ha litigato con vari scrittori, poeti e intellettuali (Pasolini e Fortini, per esempio), Fofi è stato un uomo fedele alle amicizie che ha ricordato in alcuni dei suoi libri più belli. Inoltre, nel corso della sua vita ha vissuto di poco, dei proventi di borse di studio e dei lavori editoriali e, come è stato già ricordato da Marco Bellocchio, è morto povero. Ora giustamente sono in tantissimi a ricordarlo, ma molti in vita lo hanno odiato e vituperato, per le sue idee e per le sue prese di posizione contro il conformismo e il narcisismo degli intellettuali e i guardiani del Potere politico ed economico. Quanto a me, di lui mi rimarrà sempre il ricordo del suo sorriso radioso e della sua gentilezza d’animo, della sua voce calda e del suo ultimo saluto, con cui si è congedato da me e dalla vita per il suo lungo viaggio.