
Franz Kafka
Vedere come e se, al di là di poetiche e di etichette, le «cose» si muovono dentro quell’area dinamica e attraversata da formazioni di senso (correnti, scadute o propriamente ideologiche) che Bachtin, parlando del Romanzo, chiamava la «zona di contatto con la contemporaneità» e l’«incompiuto presente»:10 tale appare il compito primo di una critica che non si limiti a incasellare autori e testi in una sorta di stanza separata – né Poesia né Prosa, né Mercato né Accademia… – in attesa, magari, che lì ogni forma di insubordinazione o di oltranza finalmente si stemperi e normalizzi.
Se ci limitiamo, del resto, a rimarcare l’assenza di trame narrative nella prosa o di istituti metrici nei testi, fermandoci su quel che non c’è, sulle mancanze oppure sulle trasgressioni linguistiche, fatalmente finiamo per perder di vista o mettere tra parentesi quanto, in essi, attinge a vene di lungo corso o indica “costellazioni” che prescindono dai generi, proprio perché ne sfruttano molti. Nulla nasce nel vuoto, e specie con autori così coscienti del proprio operare. Un rapido sopralluogo per ipotesi e campioni – nel caso lavori di Broggi e Inglese – può allora servire ad abbozzare almeno qualche coordinata, sia pure in chiave provvisoria e parzialissima: non per riportare l’ignoto al noto, bensì per esplorare, per tentativi, possibili genealogie e parentele. Si pensi, in prima approssimazione, ai rapporti con il mondo del romanzo, ma anche con quello del saggio, due continenti che già di per sé hanno conosciuto interazioni strettamente collegate all’istanza conoscitiva propria del Moderno, una radice tuttora vitale e magari carsica, ma non cancellabile a colpi di spiccio pragmatismo (e tanto meno con le uggiose ciarle dell’auto-fiction). Da Joyce a Beckett (ben in vista tra i modelli più attivi), da Woolf a Proust, tema esistenziale e interiorizzazione del discorso già sottraggono alla trama ogni privilegio, anzi apertamente ne contestano la reificazione ed i passi falsi, senza per questo perdere contatto con la «parola romanzesca»; la stessa ricorrente forma del frammento, con suggestioni che possono irradiarsi sia dal campo letterario («These fragments I have shored…») che filosofico (da Nietzsche a Adorno, da Fortini a Hohl, Handke o Canetti), ha una sua lunga e nobile storia che non senza una ragione qui s’insedia con tanta naturalezza, quasi spavaldamente rivendicando i suoi diritti e le ascendenze saggistiche del pensiero critico, ovvero un orizzonte discorsivo mobile, per eccellenza dialogico e indocile alle formule. Non diversamente l’avventura del Surrealismo, specie nei suoi versanti di humour noir e di provocazione libertaria, sembra essere metabolizzata e rielaborata senza perdere il carattere originario di protesta.
Per cogliere le mutazioni in corso occorrevano nuovi occhi, un “sensorio” capace di auscultare tanto il discorso della Natura (la cui alterità vibra in passaggi di memorabile pregnanza), quanto quello della Società, con l’eco del collettivo e dell’individuale ed i loro ritmi discordi, ogni volta interrotti e variati. Il che avviene in Broggi senza mai cercare la dissonanza esibita o l’informale indifferenziato: alla pluralità di tempi e discorsi si accompagna piuttosto un’arte combinatoria che sfrutta gerghi correnti (aziendale, scientifico, colloquiale, letterario) e riusa protocolli linguistici sull’onda di una immaginazione imperativa, smagliante e quasi soverchiante: ecco allora da una parte le «cadenze ottative» (Sì), dall’altra i cataloghi infiniti di dettagli, oggetti, referti; inventari foltissimi, pronti forse per innumerevoli narrazioni future in cui astratto e concreto, permanente e impermanente, personale e impersonale allestiscano uno spartito elegante e durevole, sondando la morfologia sconfinata del «mondo non descritto»,13 frugando nei ripostigli inconsci, nelle apparizioni in fuga nell’attimo o albeggianti nel non-ancora. Qui le «panoplie di schemi d’azione» di De Certeau14 (esempio, per l’appunto, di saggismo demistificante e utopico) trovano il loro habitat più consono; e formulano l’invito che dobbiamo accogliere, come un lascito alto e vitale, per trovare una «metrica nuova»15 alle nostre esistenze.
In Storia con plagio l’autore implicato, anche se non nominato, è dunque Franz Kafka, precisamente l’autore di Il prossimo villaggio; il testo “plagiato” così recita:
C’è qui una lezione o domanda con cui fare i conti; e in che misura la struttura discorsiva dei testi kafkiani influenza le nostre «storie»? Vale la pena, a mio avviso, riflettere sulle variazioni/citazioni (e relative tangenze e difformità) che Inglese dissemina con nonchalance nel suo libro; e intanto osservare, nel rifacimento, la presenza di numerosi dettagli di ordine realistico, assenti nel testo “originale”: la «credenza», il «mestolo», la «zuppa», in chiave con la «cucina» che fornisce lo scenario. Spesso impiegato in forma di catalogo e di enumerazione caotica, non solo nelle Storie l’uso del dettaglio proliferante e per dir così indomabile ha a che fare con il Surreale che imputa una radice irrazionale al Reale così com’è, e in questo modo tocca i nervi scoperti dell’Ideologia che vorrebbe irreggimentare e strumentalizzare (“razionalizzare”) ogni aspetto del mondo, incluso l’infinito ammasso degli oggetti che stanno proprio lì, dove siamo anche noi. Ma qui lo sguardo (e l’orecchio) di uno scrittore sensibile quant’altri mai alle pretese dei luoghi comuni, ai passepartout del conformismo, agli stereotipi rassicuranti, alle «frasi fatte» (a cui è dedicata, non a caso, una Storia) e in generale al tono d’epoca offre uno specchio prismatico e irriverente allo sfacelo del senso, puntando sottotraccia al tossico wishful thinking del Pensiero unico trionfante e alle esalazioni della defunta Democrazia Liberale, il cui avatar dismesso nella Silicon Valley in varie location (tra cui la nostra) si aggira ancora sugli schermi, a rammentarci che la vera, l’unica e inevitabile emancipazione è quella di chi può fare cosa vuole delle vite altrui (e così dar via libera alla guerra, peraltro iscritta nel DNA del Potere: si legga al riguardo Storia con esperto).23 Si capisce, quindi, perché il lavoro di chi raccoglie-inventa le storie, il suo compito peculiare e senza fine consista nello stare all’erta e porgere «come gli antichi Sioux l’orecchio al suolo».24
Del resto, in margine all’uso di Kafka non va dimenticato che anche della sua opera è stato fatto un uso normalizzante e retrogrado, espunto di ogni elemento sovversivo e tutto ricondotto allo sfondo teologico o esistenzialista; mentre in Inglese sembra riaffiorare quel filone di «ethos libertario» di cui ha scritto Michael Lôwy,25 intrecciato con una forma di Humour tipica dell’ebraismo, una vis comica trasgressiva da sempre26 e allergica all’ésprit de serieux; e soprattutto, come ha insistito Canetti, nessuno come Kafka ha reagito integralmente al Potere ponendosi in «una prospettiva unica nel suo genere, quella dell’assoluta impotenza».27 Ma è da quel punto prospettico, a sua volta inglobato nel kit del Dominio, che può scattare qualcosa di inatteso, magari una latente rivolta (o una risata): chi prende la parola nelle Storie è come una molla che quanto più è compressa, tanto più acquista forza. Un che di esasperato e di non più tollerabile presiede alle tirate (intese come forma specifica del discorso), al tour de force del monologo che, tanto più intrigante quanto più è coerente, è strettamente imparentato, nel suo carattere teatrale,28 con quello di Samuel Beckett. La verve è di chi nella disperazione non demorde.
Avviene insomma che lo svolgimento declinato al presente sottragga spazio alle trame ma rilanci a tutto campo l’elemento fantastico, nel senso della fantasticheria cara ai perdigiorno di Bloch; ed è forse questo, anche, il luogo in cui Broggi apre un varco al futuro. La stessa ubicazione delle Storie nell’«ulteriore», da parte di Inglese, risente di una simile dislocazione, non tanto nel Dopo, quanto in una zona al di là della percezione corrente ma prossima, un surreale che tende a fagocitare e trasformare en souplesse ogni soggetto a portata di mano (è il regno di quello straordinario talento di nome Julio Cortázar). Il crudele, il macabro, il feroce, l’insensato, l’osceno e l’irredento trovano qui un territorio elettivo e per dir così familiare – non provocazioni ma rabdomantiche profanazioni, un po’ come in Bacon.29 E di nuovo riappare qui, come un’ospite perturbante, lo shock del riconoscimento, infiltratosi nelle derive e negli excursus di soggetti stralunati eppure dotati di una logica implacabile, nelle squadre screanzate di teatranti carnevaleschi in preda ad un irrefrenabile istinto parodistico, strani e necessari compagni…
Ci dispiace e basta. Questo è il solo senso che possiamo dare a tutto quanto è accaduto (a noi, certo, ma anche, molto prima di noi, a tutti gli altri). (Eppure gracchiano). (Storia con dispiacere)
1 Uno sguardo d’insieme sul tema, con particolare attenzione alle poetiche individuali ed alle connesse teorie, è fornito da C. Crocco in Poesia lirica, poesia di ricerca. Su alcune categorie critiche di questi anni a partire da due libri recenti («L’ospite ingrato», 12, luglio-dicembre 2022, pp. 251-267); Ead., La poesia in prosa in Italia. Dal Novecento a oggi, Roma, Carocci, 2021; segnalo inoltre Teoria & poesia, a cura di P. Giovannetti e A. Inglese, Milano, Biblion, 2018, ed il più recente studio di G. Policastro, Il metaverso. Appunti sulla poesia al tempo della scrittura automatica, Macerata, Quodlibet, 2024 (in particolare si veda il capitolo «Poesia è prosa?», pp. 104 segg); A. Inglese et al., Prosa in prosa: con 504 illustrazioni in bianco e nero nel testo, Firenze, Le lettere, 2009; P. Giovannetti, La poesia italiana degli anni Duemila: un percorso di lettura, Roma, Carocci, 2017.
2 Tra le quali è sicuramente da ricordare il lavoro di Italo Testa; rinvio per questo al mio intervento sull’«Ospite ingrato», Riaprire i giochi, 18 aprile 2024.
3 Cito da G. Policastro, Arriveranno i poeti e romperanno gli schemi come fece Duchamp, in «La Stampa», suppl. «Tuttolibri», 18 gennaio 2025, pp. 3-4.
4 Sfrutto i termini proposti da R. Finelli e M. Gatto, Il dominio dell’esteriore. Filosofia e critica della catastrofe, Roma, Rogas, 2024.
5 Come testimoni dello spessore critico di quest’area si veda almeno A. Inglese, Leggere Reznikoff: tra oggettivismo e letteralità, in «il verri», 80, ottobre 2022, e Id., Iconoclastia artistica e concetto di littéralité, apparso anche in Teoria & poesia cit.
6 Memorabile la lettura che ne dette nel 1980 Vittorio Sereni: V. Sereni, Il lavoro del poeta, in Id., Poesie e prose, a cura di G. Raboni, Milano, Mondadori, 2013, pp. 1132-1143. Più recente lo studio (tra tanti) di B. Gorrillot, Francis Ponge: sortir du manège Vers/Prose?, in «Cahiers Francis Ponge», 3, 2020, pp. 143-162.
7 Si veda l’importante J.-M. Gleize, Qualche uscita. Postpoesia e dintorni, a cura di M. Zaffarano, Roma, Edizioni TIC, 2021; senza pretesa di completezza ricordo gli interventi di C. Wall-Romana, Is “Postpoetry” still poetry? Jean-Marie Gleize Dispositif-writing, in «Forum for Modern Language Studies», 47, 4, September 2011, pp. 442-452.
8 Vedi C. Pardo, “Dire sans lire”: une leçon de lecture publique (Christophe Tarkos, cip M, 18 avril 1997), in Écrivains en performances 2018, éds. C. Soulier, M.-È. Thérenty, G. Yanotshevsky, Montpellier, 2018.
9 Vedi F. Scotto, Emmanuel Hocquard. La poésie mode d’emploi, in «Studi Francesi», LXV, 195, 2021; più in generale si veda la puntuale rassegna Le macchine liriche. Sei poeti francesi della contemporaneità, a cura di A. Inglese e A. Raos su «nazione indiana».
10 Rinvio ai celebri studi di M. Bachtin, in particolare Estetica e romanzo, a cura di C. Strada Janovič, Torino, Einaudi, 1979: qui vedi Le forme del tempo (cito da p. 378).
11 A. Broggi, Noi, Roma, Edizioni Tic, 2021; Sì (seguito da Altri segni, Tertium Quid, ultimo esempio), Roma, Edizioni Tic, 2024. Tra i titoli precedenti ricordo Inezie, Como, Lietocolle, 2002; Coffee-table Book, Massa, Transeuropa, 2011. Per una lettura di Sì si veda A. Comparini, Broggi: “Sì”, una vertigine di parole, in «Doppiozero», 9 ottobre 2024.
12 Vedi A. Inglese, Su “Noi” di Alessandro Broggi, in «nazioneindiana» 17 marzo 2022, p. 3.
13 A. Broggi, Sì cit, p. 65.
14 M. De Certeau, L’invenzione del quotidiano, trad. it. di M. Baccianini, Roma, Edizioni Lavoro, 1990, p. 116.
15 A. Broggi, Sì cit, p. 98.
16 Ivi, p. 108.
17 A. Inglese, Storie di un secolo ulteriore, Bologna, Derive/Approdi, 2004.
18 Tra i titoli principali ricordo i romanzi Parigi è un desiderio (Firenze, Ponte alle Grazie, 2017) e La vita adulta (Firenze, Ponte alle Grazie, 2021); inoltre Commiato da Andromeda (Vecchiano, Valigie Rosse, 2022), Stralunati (Roma, Italo Svevo, 2022), Il rumore è il messaggio (Viareggio, Diaforia, 2023) e il recente Prati. Extended version, Roma, Edizioni Tic, 2025, che raccoglie testi dal 2007 al 2023.
19 A. Inglese, Storie di un secolo ulteriore cit., p. 88.
20 Id., Storia con balena o baleniera, ivi, pp. 27-29.
21 Id., Storia con sette finali alternativi di Tasmania, ivi, p. 69.
22 F. Nietzsche, Idilli di Messina – La gaia scienza – Scelta di frammenti postumi, in Id., Opere complete, a cura di G. Colli e M. Montinari, Milano, Adelphi, 1991, pp. 103-104.
23 A. Inglese, Storie di un secolo ulteriore cit., pp. 92-96. Ci si ricorda, leggendo questo testo esemplare, di Karl Kraus: che nel 1914 scriveva «a essere rivelatore non è l’evento bensì l’anestesia che lo rende possibile e lo sorregge» (K. Kraus, In questa grande epoca, a cura di I. Fantappiè, Venezia, Marsilio, 2018, p. 81).
24 A. Inglese, Storie di un secolo ulteriore cit., p. 81.
25 M. Lôwy, Kafka sognatore ribelle, Milano, Eleuthera, 2007, p. 33.
26 Vedi per esempio F.M. Cataluccio, Kafka comico, in «Doppiozero», 3 gennaio 2006; classico (e controverso) il saggio di G. Deleuze e F. Guattari, Kafka. Per una letteratura minore, trad. it. di A. Serra, Macerata, Quodlibet, 2010. Nel registro comico di Inglese è particolarmente efficace Stralunati cit.
27 E. Canetti, Processi. Su Franz Kafka, Milano, Adelphi, 2024, p. 139.
28 Vedi G. Benzi, Storie di un secolo ulteriore di Andrea Inglese, in «Il Tascabile».
29 Attitudine e analogia riscontrabili del resto anche in Prati cit.